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Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

Regia di Christopher Nolan vedi scheda film

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La recensione su Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno

di lussemburgo
8 stelle

Il capitolo finale della versione di Nolan del personaggio DC Batman pecca per mancanza di ironia e per un certa tendenza alla seriosità, tipiche però dell’intera filmografia del regista. La sua ambizione alla complessità amplificata dalla spettacolarità porta spesso ad una dimensione necessariamente didascalica della regia, sommersa dalla mole di messaggi e di significanti, da esprimere in forma commercialmente valida.
Ma la rilettura realistica di Batman riesce a coniugare blockbuster e intelligenza calando il fumetto in un contesto socialmente e psicologicamente plausibile in cui la teatralità diventa la motivazione di una maschera, il gotico l’espressione di un’anima, il personaggio la concretizzazione di una leggenda metropolitana.

È un lungo addio questo ultimo film, poco abitato da Batman e molto da Bruce Wayne e dai suoi tormenti, più un prequel introduttivo per un Robin a venire che un’avventura dell’uomo pipistrello. Batman, ancora, combatte i fautori del caos, l’istigazione alla disgregazione sociale variamente motivata che agita i suoi antagonisti sin dal primo capitolo, a cui l’ultimo episodio si collega esplicitamente, nel tentativo di sovvertire la società, incarnata dal cemento, dal metallo e della popolazione di Gotham. Non né solo l’America, minata dall’attentato delle Due Torri e dalla conseguente paranoia, ma l’intero sistema capitalistico che viene messo in discussione dai film che ne mostra le derive, moralistiche, anarcoidi o populistiche a seconda della nemesi, alla ricerca disperata di una sua versione illuminata e progressista (il padre prima, Bruce poi). Ed è soprattutto nel fallimento di questa ipotesi di felicità condivisa che si trovano le ragioni dell’eclissi finale di Wayne dal mondo e dal proprio patrimonio, l’impossibilità di coniugare affari e utilità sociale senza un pericolo complessivo che determina la fuga dal mondo di Wayne e del suo alter-ego mascherato.

I soldi e la finanza sono al centro del ritorno del Cavaliere Oscuro, in un depistaggio complessivo di mezzi economici e armi segrete, con molteplici e stratificati macguffin, che attua una semplice vendetta, mentre la narrazione si fa eco dei movimenti di contestazione mondiali per trasformarli in terrore rivoluzionario incanalato da un potere che si finge democratico perché demagogico.

Il caos è sempre in agguato in un film che sembra terminare varie volte e con svariate morti, reali o fittizie, ma che si rianima costantemente e concentra una narrazione dilatata all’interno di una durata quasi convenzionale, rilanciandosi in continuazione per esprimere il massimo di sé.

Tra la tetra concretezza di Batman e la sua univoca interpretazione del mondo, la lungimiranza assassina degli antagonisti, la follia della folla intontita dei proclami e dalle minacce, soltanto Selina Kyle riesce a districarsi con l’elegante, energica e dubbiosa interpretazione della Hathaway. La ladra sinuosa e imperscrutabile, comunemente nota come Catwoman, conferisce realistico respiro al film con le contraddizioni di una persona mai a suo agio, le aspettative del diseredato e le ambizioni di riscatto di un’umanità abitata, infine, dall’ironia che allieva il cinismo criminale e permette al tormentato eroe protagonista di intuire un’anima diversamente gemella. Ed è forse nell’inedito ribaltamento di prospettiva, con la scoperta, attraverso la donna gatto, di un “proletariato illuminato” e personalistico perché legato ai soli bisogni e non alle vanità, a dispetto di un capitalismo volontaristico e benevolente ma comunque imposto dall’alto, che il film, Bruce Wayne e Batman trovano la serenità e la libertà del proprio finale. E lasciano la propria eredità a chi vorrà assumersene le responsabilità.

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