Regia di Walter Hill vedi scheda film
Sly invecchia meglio di Swarzy, verrebbe da pensare nel rivedere a poco tempo di distanza i due muscolosi eterni rivali dei "muscolari", vacui ma meravigliosi anni '80, tornare in sella ognuno di essi ad un blockbuster adrenalinico, ad opera di due registi/autori di livello ben superiore alla media di coloro che li hanno diretti fino ad ora. (Per quel che attiene Swarzenegger alludo a "The last stand" del coreano Kim Ji Woon). Poi a pensarci bene risulta più appropriato correggere la frase con: "Stallone non invecchia mai: al massimo muta". A vederlo oggi, granitico 67enne senza un filo di grasso, viso liscio e spigoloso tiratissimo da impedirgli i già limitati movimenti facciali, pettorali gonfiati fino all'inverosimile e vita stretta, strettissima, non abbiamo dubbi: pare la parodia di un protagonista supereroe della Pixar, un fumetto vivente fatto più di gomma che di carne, o il vero Terminator che invece Swarzenegger ormai non può più diventare per sopraggiunti limiti di età (guadagnandoci quest'ultimo, tra l'altro poco più giovane di Stallone, in umanità ed espressività). E vedrete pure come cammina lo Sly: fantastico, inimitabile, dinoccolato come Travolta, ma nello stesso tempo rigido come si portasse dietro un manico di scopa ficcato nel culo. Come si fa a non amare un personaggio del genere? Una star che ha consacrato la sua vita agli alti e bassi di una carriera che non cesserà mai a questo punto, dato che, come dicevo, lui non invecchia, muta, si ricicla, affonda e poi risorge, più solido e granitico che mai. Se poi la risurrezione, ad opera più che altro dei due filmacci sui Mercenari, ma pure del presente film, è accompagnata dal felice ritorno dietro la cabina di regia di un tosto dell'action movie con la più alta e riconosciuta dignità autoriale come Walter Hill, allora la festa si fa seria.
Già il fatto che il film presenti, al contrario di molti action movie attuali, dei titoli di testa, ce lo fa rendere simpatico ed apprezzare sin dai primi passi della nostra visione. E poi quel titolo magnifico, che la traduzione francese ("Du plomb dans la tete", con quel suo possente articolo partitivo altamente evocativo, a casa nostra invece severamente bandito) rende ancor più efficace e offre appropriata giustizia e giustificazione al massacro vero e proprio a cui la pellicola non rinuncia, manifestandoci e descrivendoci ogni più dettagliato e raccapricciante particolare di agguati e traiettorie di proiettili che perforano carni ed ossa, in un macello sanguinolento efferato ma di grande effetto scenico. Le sparatorie e le situazioni sono già viste e riviste decine di volte, molto spesso nello stesso curriculum di Hill, ma non è affatto la storia che conta in questo amabile noir della vendetta e della più spietata e assurda macelleria: quello che conta è perdersi in una regia che, senza compiacimenti, ma solo con lo scopo di non perdere un secondo del ritmo dell'azione, sfreccia come le pallottole che martirizzano quei corpi crivellati e ci porta in un mondo dove il ritmo dell'azione è quello vero dei polizieschi anni '70 e '80, epoca in cui il grande Walter primeggiava con i suoi spietati "Driver l'imprendibile", ma pure con le sue scanzonate doppie "48 ore", con i suoi efferati "Danko" (citato platealmente con una nuova scena di lotta all'ultimo respiro in sauna tra corpi seminudi di due moderni e gommosi gladiatori) ed intriganti "Johnny il bello". Insomma al di là della storia, (Sly killer spietato ma in fondo un po' stanco di spalare m.... che salva la vita ad un poliziotto di origine coreana che sta indagando su un caso di corruzione in cui in qualche modo è coinvolto pure lui) a salvare e rendere davvero piacevole un filmaccio che in alcuni momenti sembra una rivisitazione d'autore del micidiale (ma non troppo) scult "Cobra", è proprio il talento immutato del grande Walter Hill, che non accenna a perdere smalto e pure lui a questo punto invecchia davvero bene. Forse è proprio il caso di dire che quando la sceneggiatura non offre spunti migliori, in quel caso la potenza espressiva di una regia tosta e motivata riesce a condurre in salvo un progetto che diversamente sarebbe diventato un prodotto qualunque, usa e getta, e che invece in questo caso, pur non puntando (né potendolo fare) all'indimenticabilità, lo incasella nel privilegiato mondo dei filmacci di genere che possono ambire a divenire col tempo dei piccoli "cult". Dunque grazie a Hill, ma pure un poco all'immarcescibile Stallone (che non marcisce perché ormai è sintetico, come dicevamo sopra) e ad un cattivo "gigantesco" (nel senso più fisico dell'accezione) che fa davvero paura, lasciato alla prestanza "malvagia" dell'ultimo Conan, un Jason Momoa piuttosto inquietante: finalmente un cattivo che non fa ridere ma anzi mette davvero i brividi.
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