Regia di Andrew Stanton vedi scheda film
La storia legata al film John Carter, come avviene con una certa frequenza in quel di Hollywood, è quasi più interessante del film stesso: John Carter prende spunto dal primo romanzo scritto dal suo creatore Edgar Rice Burroghs, intitolato Sotto Le Lune Di Marte e che vede protagonista l'omonimo ufficiale confederato che, una volta teletrasportato sul pianeta rosso, ne diviene, inizialmente controvoglia, l'eroe contro la tirannia. Gli undici romanzi di Burroghs hanno avuto una forte ricaduta sul mondo del cinema nel corso dei decenni successivi: si possono riscontrare echi di John Carter nel personaggio di Conan Il Barbaro di John Milius, così come George Lucas ha sempre ammesso di aver attinto a quest'opera per il suo Star Wars. Un film sull'eroe di Marte era in progetto da anni e, nel corso del tempo, diversi registi - anche di richiamo - si erano avvicinati alla sua realizzazione: da Robert Rodriguez (che voleva sfruttare i set digitali di Sin City), il regista del film Sky Captain And The World Of Tomorrow, Kerry Conran (poi sparito nel nulla) e, non ultimo, Jon Favreau (che, con una mossa più intuitiva, preferì dedicarsi al franchise di Iron Man). Perciò, dopo altri anni, il candidato alla regia divenne Andrew Stanton, pregiato regista di casa Pixar che aveva dimostrato una buona mano registica con film d'animazione come Wall E e Alla Ricerca Di Nemo; Stanton ebbe a disposizione un budget faraonico, pari a 250 milioni di dollari, per ricreare Marte ed i suoi abitanti. Inutile dire che, almeno nella prima fase di produzione, John Carter era un progetto di forti ambizioni (soprattutto d'incasso) per la Disney. Poi, forse per uno dei soliti cambi macchiavellici di timone della casa, il progetto perse la sua priorità e, di conseguenza, la sua uscita in sala venne fiaccata da una campagna marketing in tono minore, giocata al risparmio e di sicuro non all'altezza di un film di così forte richiamo; non ultimo, la decisione del regista Stanton, non felicissima, di modificare il titolo dal conosciuto John Carter Of Mars in un più generico (e banale) John Carter e basta. Risultato: a fronte dei 250 milioni spesi, a fine corsa il film ne ha incassati solo 282 worldwide, finendo nei primissimi posti della poco ambita classifica dei film con maggiori perdite nella storia del cinema.
Al di là di queste sfortunate vicende, personalmente reputo il film - come si dice in gergo - di sicuro non una specialità: ho avuto l'impressione che a Stanton l'eccessiva mole di materiale su cui lavorare gli sia - paradossalmente - esplosa tra le mani generando così un film in cui si affastellano un milione di fatti diversi uno di fila all'altro e questo, di conseguenza, porta a non approfondirne nemmeno uno, così che John Carter, a dispetto della sua grandiosità visiva, sia un film tutt'altro che epico, somigliando di più ad un film d'avventura di grandi dimensioni, ma di mezze ambizioni. Difatti, tra le tante linne narrative, resta fumoso il discorso del ciondolo che permette a Carter il salto tra la Terra e Marte, la materia ad undici dimensioni che genera una energia prodigiosa (compreso anche il salto spaziale) è spiegata troppo velocemente, così come il suo ritrovamento all'interno del "sito di Stoccaggio" (definiamolo così) tra i canyon da parte di Carter e della principessa avviene con troppa facilità (e troppo in maniera casuale). Insomma, John Carter è un film che si muove attraverso una sceneggiatura troppo meccanica e telefonata, priva di veri guizzi che lo rendano appassionante o, come scritto sopra - epico, appunto.
Taylor Kitsch alias John Carter (senza mordente).
Partendo dal meteriale di base, quella di John Carter è innanzitutto la parabola di un uomo allo sbando, un soldato senza più ideali, un marito e padre con la famiglia trucidata, un cinico disperato che ritrova se stesso combattendo su di un altro pianeta, che ritrova una casa paradossalmente lontano da casa. Ma la parabola di questo John Carter cinematografico segue lo scarso approfondimento dell'intero film, apparendo, come tutto il resto, prevedibile e telefonata: Carter è ossessionato dai ricordi della familgia scomparsa, ma la moglie appare in fugaci ricordi, in sogno, al protagonista che, altrettanto fugacemente, passa dalla condizione di cinico in lotta contro il mondo intero ad intrepido e valoroso eroe "dei due mondi" (nessun riferimento, scherzoso, a Garibaldi: Carter prima salva Marte dalla dittatura, poi torna sulla Terra come uomo realizzato e ricco). Non ho trovato l'interpretazione di Taylor Kitsch così accattivante o memorabile come il ruolo richiedeva: l'attore svolge il suo compito ma, tendenzialmente, mette in scena un personaggio anonimo, simile a tanti altri "eroi per caso" già visti sullo schermo. Bisogna dire che Kitsch è il classico caso di attore "sulla rampa di lancio" che non riesce (ancora) a fare il salto verso lo status di protagonista riconosciuto; nel 2012 ci ha provato per ben tre volte, a vuoto: con il qui presente John Carter, con lo sciagurato Battleship e con l'altrettanto poco memorabile Savages di Oliver Stone. Non lo aiuta l'anonima Lynn Collins, nei panni della principessa marziano/umana di cui il protagonista si innamora; a parte, anche in questo caso, la love story telefonatissima, la Collins mette in scena un personaggio - quello della principessa guerriera forte ma anche fragile - che pare preso a metà strada tra Xena e la Milla Jovovich eroina "cazzuta" di Resident Evil: insomma, uno di quei personaggi di donna "con le palle a tutti i costi" che fanno tendenza nel cinema d'azione di questi ultimi anni. Il resto del cast mi pare che resti sullo sfondo: Willem Dafoe e Thomas Haden Church (inutile dirlo, entrambi bravi attori) appaiono solo come voci dei due alieni capo-tribù creati digitalmente, Ciaran Hinds è "solo" il padre premuroso di Lynn Collins. Un discorso a parte lo merita un altro pezzo da novanta come Mark Strong, che effettivamente dona quell'aurea mitologica e, contemporaneamente, pericolosa alla sua figura di guardiano del destino immortale, privo di emozioni, etereo ma feroce nella sua logica di riportare ordine su Marte: anche in questo caso la sceneggiatura non gioca a suo favore e la spiegazione su questa "casta" superiore che gestisce i destini dell'universo e tirata per i capelli in maniera spicciola e veloce. Ci sarebbe, nel cast, anche Bryan Cranston ma il suo ruolo è talmente veloce (tutto il film è all'insegna della troppa velocità) da essere quasi impalpabile: è l'ufficiale nordista ferito che Carter salva dagli indiani ad inizio film. Fine del ruolo. Non è uno spreco avendo un attore come Cranston: di più, è LO spreco.
Così come è impostato, John Carter probabilmente avrebbe avuto più chances di riuscita se trasformato in un cartone epico, magari proprio sotto l'egida Pixar; in quel caso Andrew Stanton sarebbe stato veramente l'uomo giusto al momento giusto ed avrebbe giocato su un terreno (quello dell'animazione) a lui congeniale. Così come è stato presentato in sala, il film rappresenta una lampante dimostrazione delle politiche dispersive e macchiavelliche che - con una certa frequenza - caratterizzano la casa di Topolino. Un film potenzialmente grande, ma in realtà grandemente depotenziato. La classica occasione sprecata.
Locandina italiana.
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