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John Carter

Regia di Andrew Stanton vedi scheda film

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La recensione su John Carter

di M Valdemar
4 stelle

John Carter della Terra … John Carter di Marte … uhmmm … John Carter di E.R.!
Ecco, forse col dottorino della celeberrima serie tv medica si sarebbe potuto avere qualcosa di più intrigante. Già la vedo, in questi scenari fantastici stra-stravisti, la faccia simpatica di Noah Wyle … il quale, armato dell’infallibile sapere, prima diagnostica la cronicità di una malattia virulenta e contagiosa giunta ormai a un tremendo stadio d’irreversibilità (la deriva delle megaproduzioni dei potenti megastudios che anelano megaincassi e perciò infestano le sale con megaminchiate), poi col prodigioso bisturi della finzione scenica affetta sfondi verdi, taglia le vene ai polsi di scribacchini-lacchè, recide carotidi di pseudoattori in modalità pausacerebrale, mozza teste pesanti malpensanti di produttori che purtroppo si riproducono.
Ebbene, deliri metacinematografici a parte, cosa dire di codesta pellicola?
E' l’ennesima baracconata blockbusteriana, isterica e castrante, con un’estetica che istiga gargarismi riflessivi d’austera sterilità e instilla stoltume a ogni inquadratura.
Né meglio né peggio di molti altri, susseguitisi in moto perpetuo negli ultimi anni e già dimenticati, ossequiosamente rigurgitabili ovvero intercambiabili ossia confondibili l’un con l’altro e l’altro con l’uno e nuovamente l’un con l’altro. Catena infernale che rigenera se stessa per mezzo di anelli con la viltà degli agnelli: c’è un modello, c’è un disegno, va ricalcato, colorato, venduto, sputato. Funziona. Quasi sempre.
John Carter è un’esibizione cartoonesca cialtronesca che starnuta inanità inanimata, nonostante l’incessante, consueto starnazzamento di effetti speciali - in fondo così poco “speciali” - che porta allo stremo l’impegno ottico-uditivo.
Udite, udite lor signori spettatori. E guardate, guardate.
Ma cosa?
Lo spettacolone non l’avete ancora visto? eppure l’avete già visto, suvvia. E molte volte.
Il ciclo di Edgar Rice Burroughs è usato in via meramente pretestuosa e banalizzante per confezionare un prodotto roboante, frastornante, assolutamente convenzionale, ovvio, prevedibile in tutti quei meccanismi che dovrebbero assicurare la presa sul pubblico. Il tutto secondo le (rigidissime) norme della “buona tecnica” hollywoodiana, marchio di fabbrica i cui fumi mefitici s’infiltrano come un mellifluo cumulo di particelle offuscanti nelle capacità di ricevere/fruire un film.
Certo, si dirà che è solo un’innocua, innocente opera d’evasione che non pretende altro che fornire divertimento. E dunque, davvero non esiste altro modo? Non si riesce proprio d’infilarci - anche in maniera obliqua, semiocculta - qualcosa di diverso dalle solite buoniste, unidirezionali (e a rapido consumo) moraline tipicamente americane? Perché, alla lunga, questo (presunto) “divertimento” stanca, spossa, irrita. Annoia, terribilmente.
Forse tale giudizio potrà essere - anche con fondamento - considerato generico e tacciato di estremo cinismo e/o incapacità di sapersi godere i piaceri di una visione che è - per concezione e per destinazione - “semplice” e “sano” svago, pura interruzione ricreativa e “distrattiva”.
Ribatto che d'allinearsi non c'è (più) voglia, che comunque si può fare (e ci sono esempi, passati ma anche recenti) dell’intrattenimento intelligente. Non è che bisogna obbligatoriamente appendere il cervello in soffitta. O sì?
Su John Carter inoltre, ad aggiungere ulteriore carico alla valutazione negativa, va registrata la scelta - infelicissima - di una coppia di protagonisti incredibilmente anonimi e scadenti.

Par quasi che siano il risultato di un (lunghissimo) casting fatto per scherzo, come a dire “prendiamo i peggiori”.
Pur estremamente “fisicati” i due non attraggono per nulla, mai.
Al posto di tal Tailor Kitsch era meglio del buon kitsch. Lynn Collins, anche se indossa vesti succinte, non seduce, sta lì in posa come per un triste book fotografico. Impalpabili entrambi, con un’espressività vicina allo zero. Partendo dai numeri negativi.
Persino i comprimari - che normalmente sono almeno un po’ interessanti e presentano attori di livello - non offrono granché: o sono ridotti a una mesta virtualità (Willem Dafoe, Thomas Haden Church, Samantha Morton) e quindi completamente persi nelle versioni doppiate, o sono semplicemente insignificanti (tutti gli altri).
Se pure qualche trovata è riuscita (con oltre due ore a disposizione … e vorrei ben vedere!), viene sommersa in una messa in scena abbondante (di clichè) e poco coinvolgente, con segmenti narrativi talora farraginosi e non ben raccordati che rivelano tutta la fragilità dell’intera struttura produttiva.
L'accompagnamento sonoro (di Michael Giacchino), comme d'habitude, è fragoroso e pomposo, già sentito in mille altre occasioni.
In generale, impera un senso di piattume, partito sin dall’ideazione del film stesso e che, fortunatamente, non può arrivare fino a Marte.

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