Regia di Seth MacFarlane vedi scheda film
L’orsacchiotto di peluche di John Bennett è vivo, e non muore mai. Quel bambino solitario, emarginato dai coetanei, aveva intensamente desiderato che il giocattolo, ricevuto dai genitori come regalo di Natale, si animasse, diventando il suo unico vero amico in carne e ossa. La miracolosa forza della sua volontà ha fatto sì che quel sogno impossibile si avverasse; e così John e Ted sono cresciuti insieme, trasformandosi in un duo affiatato e indivisibile. Quel pupazzo, costantemente al fianco dell’uomo, rappresenta la sua parte infantile, che necessita di continuo affetto e si nutre della complicità che regna tra compagni di gioco. Ora che il ragazzino di allora ha compiuto trentacinque anni, il tono è sempre quello scherzoso di un tempo, ma i contenuti sono cambiati, per adeguarsi all’età di John, e si sono riempiti di accenti cinici e trasgressivi. Restano la passione per Flash Gordon e la canzoncina da cantare per esorcizzare, durante la notte, la paura del temporale, ma nel frattempo si sono aggiunti il sesso e gli spinelli; e, soprattutto, è sopraggiunta lei, Laurie, la fidanzata di John, che in quell’orsetto vede il classico terzo incomodo, l’intruso impiccione che costantemente si intromette nel suo rapporto sentimentale. John, per non perdere l’amore della sua vita, sarà costretto a dare il benservito alla sua appendice di stoffa e ovatta, e da allora la trama procederà su due binari: da un lato, il racconto si soffermerà sulla maniera in cui quell’essere surreale riuscirà a cavarsela da solo nel mondo degli uomini, dall’altro potremo seguire l’evoluzione del ménage tra John e Laurie, che dovrà essere ricomposto ed approfondito prima di potersi porre nuovi importanti obiettivi. La romanza contemporanea sulla coppia che cerca di non scoppiare si intreccia con la goliardia politicamente scorretta di una figura fiabesca, che, mentre insegue a suo modo la felicità, cerca di riallacciare l’intimo legame che la unisce a John, fungendo un po’ da lucignolo, un po’ da grillo parlante. Come in tutte le favole che si rispettino, non mancano né i cattivi (padre e figlio che vorrebbero impadronirsi di Ted), né lo spasimante rivale (il ricco ed eccentrico principale di Laurie, che non smette di farle la corte). L’umorismo, che si esplica quasi unicamente sul piano verbale, è di quelli basati sull’impatto linguistico, sulle cadenze grottesche della sintassi, sull’effetto spiazzante di certe combinazioni di suoni, ed è dunque quasi sicuramente destinato a spegnersi con l’intervento del doppiaggio. Forse, dopo la traduzione, rimarrà ben poco di quel personaggio più buffonesco che satirico, che è il pezzo forte di un film gradevole e moderatamente divertente, ma privo di altri elementi di interesse. Un’opera certo originale per l’idea di fondo, ma incapace di ricavare, da questa, una storia che sappia offrirci qualcosa di più che i reiterati affondi di uno spirito alternativo davvero un po’ ingenuo.
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