Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
Il Giulio Cesare di Shakespeare (uno dei capolavori del drammaturgo inglese) parla di tradimenti e inganni al popolo, ma anche di legami d'amiciza fino alla morte, di alleanze di comodo, di consorterie destinate a trasformarsi in inimicizie mortali. Tutti sentimenti che persone finite in carcere per reati gravi dovrebbero conoscere bene.
Ma è pur sempre un'opera teatrale - una delle prime forme di finzione allo stato puro (se non vado errato il Ruzzante definiva il teatro quella forma di spettacolo dove gli attori fingono una storia che il pubblico finge di credere) - che consente a questi carcerati, scelti per interpretare il dramma shakespeariano, di sembrare attori e soprattutto di fingersi liberi, almeno fino al momento del rientro nelle rispettive celle, momento suggellato dalla paradossale frase di uno degli interpreti, secondo cui "da quando ho conosciuto il teatro, questa cella mi sembra un carcere".
E soprattutto il carcere (come dimostra anche la vicenda artistica e personale di Aniello Arena, attore protagonista di Reality di Garrone) consente il riscatto a persone che nel loro passato hanno storie di criminalità grave. E di questo riscatto beneficiano anche i due fratelli registi, reduci da una serie di prove artistiche che definire deludenti sarebbe soltanto un puro eufemismo. Cesare deve morire, perché altri possano rinascere.
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