Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
E' molto difficile per me scrivere un'opinione su “Cesare deve morire”,
un film che mi ha molto emozionato, mi ha lasciata commossa per molto
tempo dopo la visione, e mi ha trasmesso un senso di desolazione
profonda. Non è la prima volta che teatro e cinema si fondono insieme,
ma è la prima volta che sul grande schermo viene raccontato un progetto
di laboratorio teatrale all'interno di un carcere di massima sicurezza,
come quello di Rebibbia a Roma. Da molto tempo esistono queste realtà, a
Volterra il carcere ha come fiore all'occhiello il ristornate
all'interno del penitenziario gestito dai detenuti, e il meraviglioso
laboratorio teatrale, ma mai fino ad ora una produzione cinematografica
si era presa la briga di raccontare tale realtà. I fratelli Taviani sono
tornati al bel cinema con questo film che mostra la nascita del progetto
teatrale, fino alla sua conclusione.
Il film comincia a colori con l'ultima scena della tragedia
Shakepeareana sul palco, la morte di Bruto. Applausi scroscianti da
parte del pubblico, e subito dopo i detenuti rientrano nelle loro
celle.
La storia continua in bianco e nero facendo un salto di sei mesi
prima, con i provini tra i detenuti per le parti, la loro presentazione,
le loro condanne. La scelta di far recitare gli attori nei loro dialetti
rende più personale e spontanea la recitazione, anche se mai per un
momento si possono scambiare i detenuti per veri attori. Questo è
l'aspetto che più mi ha sorpreso, nonostante il film sia girato
benissimo, gli attori siano bravi e convinti nel loro personaggio, mai
si ha l'impressione che stiano realmente recitando, ma piuttosto che
stiano raccontando qualcosa che è mischiato alla loro vita, alla loro
realtà con la tragedia di Cesare e la sua morte. In effetti sembra più
una lunga seduta di psicodramma, le vite dei detenuti vengono in qualche
modo messe in scena dai personaggi di Shakepeare, e per qualche mese i
corridoi, le celle e i cortili blindati del carcere diventano una Roma
antica.
Per esperienza personale ho contribuito a lavorare in laboratori
teatrali con tossici dipendenti utenti del S.E.R.T (esperienza
fallimentare, quasi impossibile lavorare con i tossici, ma per qualche
momento si sono vissuti esperienze incredibili e toccanti), laboratori
teatrali con persone che hanno disturbi mentali (bellissimo, perché
senza filtri e pieni di sorprese) e in nessuno di questi casi gli attori
recitano, ma raccontano. Così credo sia per i detenuti, che vivono
queste esperienze in modo totale, trovando dentro di sé l'aspetto più
vicino al proprio personaggio, per questo difficilmente interpretano, ma
più facilmente sono quel personaggio e vivono o rivivono quella vicenda.
Per questo la tragedia o comunque il lavoro teatrale avrà sempre un
sapore da “principiante”, ma viene compensato dalla forza emotiva di chi
ci ha recitato e creduto.
La regia mi è piaciuta molto per questo, perché non ha cercato di far
passare i detenuti per attori professionisti, ma ha sottolineato proprio
questo aspetto di grande lavoro che c'è dietro a questi bellissimi
progetti di recupero, anche per chi la pena non la finisce mai. Spesso
le inquadrature si soffermavano proprio sui padiglioni e sui cortili di
Rebibbia visti dall'alto, come a dire: “tutto rimane qui dentro, non
lasciatevi trasportare come gli attori fuori dalle mura”, una specie di
mancata evasione per lo spettatore, costretto così a fare anche lui i
conti con la dura realtà carceraria. Anche i secondini che si lasciano
prendere dallo svolgimento delle prove nel cortile, sono costretti a far
sospendere le prove perché è terminata l'ora d'aria. Questo è l'aspetto
più desolante del film per me.
Il finale è di una crudeltà spietata: gli attori ritornano
immediatamente detenuti, e la riflessione di “Cassio” è spietata: “da
quando ho conosciuto l'arte, questa cella è diventata una prigione”, una
pena senza fine. Cesare non deve morire, ma quando alla fine muore,
lascia un gran rimpianto e amarezza, ed è quella dei detenuti che
ritornano in cella.
Ovviamente chi sbaglia deve pagare, ma che bello vedere che ci può
essere un recupero di spirito e coscienza in chi ha fatto errori
terribili...c'è gente libera e onesta che forse rimarrà nella prigione
dell'ignoranza per una vita intera, in fondo anche quella è una “fine
pena mai”.
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