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Hermano

Regia di Marcel Rasquin vedi scheda film

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La recensione su Hermano

di OGM
8 stelle

Notevolissimo esordio per il venezuelano Marcel Rasquin, che col suo primo film ha rappresentato il suo Paese agli Oscar 2011. La storia presenta le solite immagini opache impastate nella polvere del barrio: l’azione si svolge nel quartiere popolare La Ceniza di Caracas, dove il degrado è la terra di nessuno in cui riecheggiano il rumore degli spari ed il silenzio dei sogni di riscatto, affidati, per lo più, alla speranza di diventare grandi calciatori.  I protagonisti sono i giovani, figli di madri sole, orfani abbandonati, reclute dei boss locali, piccoli spacciatori di droga e sniffatori di colla. Le loro bravate sono fatte per sconfinare in un attimo nel crimine, e le loro aspirazioni sono labili come i rari momenti di gioia in mezzo ad uno sterminato oceano di rabbia. Julio e Daniel sono fratelli, ma solo per volontà del destino: il primo, soprannominato Gato, è infatti stato adottato dalla madre del secondo. La donna l’ha raccolto per strada: allora il bambino era un neonato depositato tra i rifiuti, il cui vagito, scambiato per il miagolio di un micino, aveva attirato l’attenzione del piccolo Julio. Adesso i due ragazzi si trovano alla soglia della maggiore età, diversi nel corpo e nell’anima, eppure indissolubilmente legati da un rapporto di tacita complicità. Ad unirli è la lotta quotidiana che combattono insieme: quella per allenarsi sul campo da gioco, e magari essere selezionati per entrare a far parte di una squadra vera; e quella per trovare il responsabile della morte della loro madre, uccisa sotto casa da un colpo di pistola. Julio e Daniel non possono proprio dire di specchiarsi l’uno nell’altro: sono esseri antipodali, che affrontano la vita sugli opposti versanti dell’intraprendenza e del fatalismo, dell’aggressività e della mansuetudine. La loro complementarietà fa scintille, ma libera l’energia necessaria a far avanzare la riflessione sul futuro. Il traguardo comune è uscire, una volta per tutte, da quell’abisso di sporcizia morale e materiale, che contamina anche la vista, impedendo di guardare verso l’orizzonte, verso le opportunità che l’esistenza riserva al di fuori di quel rione infestato dalla miseria e dalla malavita.  A tal fine, Daniel cerca in tutti modi di mantenersi pulito, conservando ad ogni costo la propria innocenza; Julio, al contrario, crede che il marciume vada afferrato con le mani e distrutto, il che è possibile solo sguazzandoci in mezzo.  Stare dentro o stare fuori sono i termini del dilemma tipico di chi si trova a vivere dove non vorrebbe, eppure non conosce alternative. Isolarsi o amalgamarsi è una scelta caratteriale, prima ancora che etica, perché entrambe le opzioni, pur procedendo in direzioni opposte, riescono a servire in ugual misura gli stessi desideri e gli stessi sentimenti, profondamente condivisi dai due fratelli. Mai, come in una condizione sociale così estrema, il profilo dell’essere umano è determinato dal modo in cui decide di confrontarsi con l’ambiente circostante, considerandolo come un potere oppressivo a cui resistere,  o, al contrario, come un sistema di regole a cui adeguarsi.  In questo senso, Julio e Daniel sono avversari politici, nelle idee e nella pratica, perseguendo, rispettivamente, l’obiettivo della riforma dei valori e quello della repressione violenta. Alla base del loro comportamento si riconosce, comunque, quel rifiuto e quella inquietudine da cui trae origine la ribellione giovanile: la lotta interiore degli adolescenti che, una volta completato lo sviluppo fisico, si rendono conto che, da quel momento in poi, crescere significa imparare ad adattarsi al mondo degli adulti. In quel mondo c’è Moroncho, il rude boss del quartiere, e c’è però anche il profe, l’allenatore della locale squadra di calcio: due uomini messi  a capo di due piccole realtà, che sono espressioni antitetiche dello stesso disgraziato lembo di periferia.  I riferimenti sono entrambi a portata di mano, ed è per questo che è tanto facile sbagliare. Hermano presenta l’errore come la sostanza della gioventù, che volge in romantica follia quando lo sfondo sociale è solido, ma diventa invece il principio della fine quando la situazione è critica in partenza. È questo a far sì che, nei contesti svantaggiati, la risalita sia tanto ardua e faticosa: le promesse dell’avvenire inciampano, prima di potersi realizzare, e vicino a loro non c’è quasi mai nessuno pronto a risollevarle. La chiusa del film contiene una speranza esile, ma forte di un’intelligenza sensibile alle potenzialità umane: si può confidare che, tra coloro che cadono, ci sia qualcuno che, per fortuna, è in grado di aiutarsi un po’ da sé.      
 

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