Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Un grande film storico, di denuncia, di impegno civico nel solco della grande tradizione italiana degli anni ’70 (ma anche prima) in quel settore. I fatti realmente accaduti sono descritti con rigore e grande realismo, coniugati alla felicissima, in quanto verosimile, sceneggiatura: per nulla retorica, e priva di ogni eccesso di partigianeria. Il film è soprattutto una denuncia della persistenza del fascismo in seno alle forze armate italiane. Tutto quello che accade è stato voluto e accettato dagli italiani per oltre 20 anni sotto il duce: violenza ingiustificabile impunita, oltraggio alla dignità e ai diritti altrui.
Il film non mostra tutti i componenti delle forze dell’ordine come criminali: ma mostra che tanti sono così. E lo fa sulle testimonianze della storia, non su interpretazioni opinabili. Nelle violenze, che vanno mille volte oltre il legittimo controllo dell’ordine pubblico da parte delle forze dell’ordine, c’è tutto il succo umano del fascismo: la cui causa è il connubio di frustrazione e ignoranza. Il fascismo rimane ancora in soggetti per lo più di ridotte competenze culturali, che a ciò coniugano una profonda, quanto inconfessabile, insoddisfazione per la propria vicenda umana. La vergogna di sé stessi può portare tanti mostri: tra questi il fascismo (e chi dice questo non misconosce certo i gravissimi reati dei dittatori comunisti, sia chiaro). È inquietante vedere come la nostalgia per il fascismo, che giustamente è reato, si mostra a livello statistico soprattutto tra i frequentatori di questi contesti: palestre dove si insegna il combattimento, curve dello stadio, e forze dell’ordine. Non si sta dicendo che tutti i frequentatori dei suddetti fenomeni sociali si macchino di fascismo, ci mancherebbe: generalizzare è sempre un errore. Ma la media statistica non è mai casuale. È un fatto che c’è un nesso dimostrabile sociologicamente, e seriamente, tra “luoghi” sociali ad alta deprivazione culturale e l’adesione al fascismo. L’aspetto più inquietante è qui la persistenza di questa anti-cultura (in quanto basata non sul consenso razionale, ma sull’imposizione violenta del proprio interesse) del fascismo tra le forze armate. Quante volte i fatti hanno smentito la retorica facile dei poliziotti e dei soldati come dei “bravi ragazzi che servono la patria”. Io, da cittadino italiano che mantengo esercito e polizia e guardia di finanza con le mie tasse, assieme ai miei simili italiani, mi aspetto invece un cambiamento: che le forze dell’ordine si mostrino finalmente sempre degne del loro compito. Magari nessuno fosse ignorante tra le forze dell’ordine: ma quanti ignoranti abbiamo incontrato lì? Magari nessuno fosse corrotto tra le forze dell’ordine: ma quanti corrotti sono stati già condannati lì? Magari nessuno dei quadri maggiori commettesse reati: ma quanti di loro sono stati già condannati?
Il prestigio delle forze dell’ordine è stato rivendicato con piena forza quasi da nessuno in Italia, se non solo dai partiti neofascisti: è solo deprecabile assenza di patriottismo? O è solo un caso che i neofascisti siano gli unici a difenderle con forza? E questa limitatissima difesa entusiasmata risponde a un merito continuo, dimostrabile empiricamente, di tutto ciò che le forze dell’ordine hanno fatto nell’Italia repubblicana? Si crede proprio di no, purtroppo.
Il film è poi notevole perché richiede un qual certo sforzo di conoscenza per i fatti accaduti dopo: tanti (e quindi molto probabilmente non tutti, anzi) reati delle forze dell’ordine sono stati dimostrati come tali, e i loro esecutori condannati; ma non tutti, a quanto pare, ci hanno davvero rimesso la carriera, per quanto incredibile ciò possa essere. Anzi: in certi casi qualcuno, quanto più era implicato, tanto più ha fatto carriera. Ed è ovvio: se uno deve ammettere i propri crimini, allora gli vien per forza voglia di denunciare anche i crimini degli altri; e anche dei superiori. Se sei testimone oculare del crimine del superiore, però devi stare zitto. E per farti stare zitto, ti devo dare quello che vuoi. E quello che vuoi è questo: la promozione. Cioè soldi e potere. Soldi e potere.
La strategia dell’insabbiamento è stata largamente usata, nell’Italia repubblicana come in tutta la storia universale. Solo così i reati dei potenti possono essere lasciati indisturbati. Ma questo conviene alla società tutta? No, anzi. Film come questo danno lo spunto per capirlo bene. Si fa carriera solo se si può ricattare qualcuno. E lo si può ricattare perché quel qualcuno ti ha costretto a essere responsabile di qualche reato che interessava a lui, più che a te. A quel punto lui non può più dirti di no, ma fino a un certo punto: anche lui sa cose che potrebbero far finire la tua carriera, magari anche solo le cose che ti ha costretto a fare. E lui ha più potere di te per farle valere, in caso di scontro. E quindi è meglio leccare, belli zitti.
Ma forse il segreto è solo uno: se uno ti chiede di commettere un reato, tu rinunci,e paghi tutte le conseguenze del caso in termini di carriera, cioè soldi e potere. E non solo: devi trovare le maniere più corrette per denunciare questi crimini all’opinione pubblica, affinché siano puniti e non si ripetano più. Difficile ma non impossibile, e soprattutto necessario: almeno se si vuol vivere autenticamente felici. E nel frattempo è indispensabile trovare strategie per la tranquillità economica, che quanto meno non obblighino a ledere i diritti di nessuno.
Si era nel pieno del secondo governo Berlusconi, con anche i neofascisti al potere. Ma non solo con quell’orrore politico si è registrato uno scandalo di questo tipo, e non solo in Italia: che le forze dell’ordine, con l’ausilio di una parte corrotta della magistratura, facciano quadrato per proteggere se stessi quando si comportano da criminali, per far prevalere l’ingiustizia e offendere la giustizia, e offendere le vittime innocenti. Questo è successo subito dopo i fatti di Genova, come anche durante: il film fa vedere come materiali ed elementi che compromettono i manifestanti (molotov…) in realtà siano stati introdotti per ordine della polizia, per inquinare gravemente il quadro; così come la distruzione delle prove. L’illegalità di stato ha avuto qui un episodio da manuale.
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