Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Dei fatti del G8 di Genova del luglio 2001 ho un ricordo netto che si spezza in due. All’epoca lavoravo come educatore in una comunità alloggio per minori e Italia Uno, la cosiddetta rete per i giovani di Mediaset piaceva ai nostri utenti ed imperversava con la sua programmazione rassicurante e appunto giovanilistica. Quando rientravo a casa leggevo i giornali di sinistra, vedevo il Blob ghezziano che documentava i gravi fatti di quei giorni e soffrivo in silenzio. A lavoro il mondo ovattato della rete berlusconiana faceva da riempitivo e da sfondo tenendosi lontana dalla realtà, Bush e gli altri capi di Stato discutevano di non si sa che e ai margini c’erano i no-global “sporchi e cattivi”, i comunisti e i black-block, tutti in un unico calderone. La morte di Carlo Giuliani è stato l’apice ma la polizia non paga e grazie al beneplacito di un governo filofascista e paratelevisivo dava libero sfogo alla sua funzione primordiale repressiva e unilaterale: segregare i “sovversivi” nella zona rossa e mantenere l’ordine agli occhi della terra. Doveva essere una manifestazione pacifica (e lo fu) ma venne rovinata dai black-block. Così ci dissero. Migliaia di telecamerine, foto e immagini hanno documentato la verità: le forze dell’ordine picchiarono indiscriminatamente chiunque gli capitasse a tiro. Oggi il capo della Polizia Manganelli (nomen omen) si vergogna di quella pagina oscura del Corpo che rappresenta e ha preferito in puro stile italiano non chiedere scusa pubblicamente, non dare nessuno contributo alla realizzazione di DIAZ di Daniele Vicari e ancor peggio oscurare la visione dello stesso ai suoi sottoposti. Come recita una circolare emanata dal Ministero dell’Interno che chiede il silenzio su “pellicole cinematografiche che affrontano la ricostruzione storica di eventi relativi ad attività di polizia in situazioni ordinarie e straordinarie”. Vergogna! Le violenze alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto accentuarono l’immagine negativa dei celerini e furono “la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Tante volte tra gli anni sessanta e settanta siamo andati vicini alla Grecia dei colonnelli e al Cile di Pinochet, scivolarci agli albori del terzo millennio è stato gravissimo e imperdonabile per la nostra giovane democrazia. Quella sferzata di violenza e sangue una cosa l’ha ottenuta, dividere e dissolvere un movimento che aveva intenti nobili, oggi la globalizzazione mostra tutte le sue crepe e la crisi ci attanaglia tutti. Il produttore Domenico Procacci e il regista Vicari hanno avuto il merito di imprimere su pellicola quella sospensione della democrazia, quella grave mancanza di diritti elementari, quella trasformazione in guerriglia e vendette. Sì è vero sono sempre a portata di mano il documentario collettivo UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE, il toccante CARLO GIULIANI RAGAZZO di Francesca Comencini, il censurato BELLA CIAO di Giusti, Torelli e Freccero e via fino a BLACK-BLOCK. Però una ricostruzione cinematografica era necessaria perché la diffusione e la fruizione è maggiore e dà più fastidio. L’autore di VELOCITA’ MASSIMA è riuscito in un’impresa difficile dal punto di vista organizzativo, burocratico…Mandiamolo a memoria la pellicola è stata rifiutata da tutti e non capiamo perché, l’Italia non cambia mai. Rimuovere, rimuovere, rimuovere. Facile invece è stato parteggiare per quei ragazzi che non avevano colpe e che per un pretesto e due bottiglie molotov (messe lì dagli agenti) sono stati massacrati, gonfiati di manganellate, torturati psicologicamente e trattati come bestie alla Bolzaneto e gli stranieri espulsi dal nostro paese. Ribadiamolo con forza, una repressione ponderata e perpetrata come routine, come ci illustra in pochi significativi passaggi il film. La messinscena è quasi sempre asciutta: la fotografia sgranata di Gherardo Gossi si mischia con alcune immagini di repertorio; buona la scelta di reiterare alcuni frangenti importanti della storia e dell’assalto. Non tutto poteva essere raccontato, però il candore e lo sgomento di Renato Scarpa rappresenta un aspetto dei manifestanti, le ragazze straniere un altro ancora e così il gruppo di attivisti del Genoa Social Forum, i giornalisti etc. Ogni pezzo fa parte di un mosaico che rende l’idea delle varie anime presenti nel capoluogo ligure undici anni fa. I poliziotti pure sono ben delineati: la sovrintendente che si pone domande e quella aguzzina oppure il vicequestore Max Flamini di Claudio Santamaria, bravissimo nel portare la divisa antisommossa e nell’essere a modo suo amletico (attaccare non attaccare, picchiare fino a che punto?), nell’esprimere dei dubbi e verso la fine sottrarsi agli eventi ormai incontrollabili. Opposto a lui il Meconi dell’ottimo Francesco Acquaroli. Programmaticamente detestabili sono i superiori occultatori e bugiardi di Mattia Sbragia, Rolando Ravello e altri. Non poteva essere altrimenti, visto e considerato che nessuno dei responsabili è stato sospeso dal servizio, qualcuno ha fatto carriera, pochi sono stati condannati e lo Stato non ha mai fatto mea culpa. La macchia resterà, per dirla con l’Arma nei secoli dei secoli.
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