Regia di Dwight H. Little vedi scheda film
Dall’omonimo videogame prodotto dalla Namco, Tekken aspira a ricreare l’estetica del soggetto originario, evidente dagli schermi esterni che riproducono i combattimenti, dalle sfide in cui, più che sul montaggio, si punta sull’alternanza del movimento gambe/braccia dando l’illusione che i concorrenti possano essere manipolati da qualcun altro. In un futuro apocalittico dominato dalla potente corporazione Tekken, Jin Kazama è un lottatore di strada che, per vendicare la morte della madre, si iscrive al torneo Iron Fist, dove le regole sono estreme: sopravvivere o morire. Attorno alla figura di Jon Foo, Dwight H. Little costruisce un altro film di arti marziali comunque superiore a quelli realizzati negli anni 90 con Brandon Lee (Drago d’acciaio) e Steven Seagal (Programmato per uccidere). Anche se con eccessivi riciclaggi dal fantasy futuristico (il buio che domina), Tekken ricerca i colori del videogame e fonti d’illuminazione dentro l’inquadratura come, per esempio, il fuoco o le luci delle candele o al neon verde. Con dentro frammenti di wuxia e una fisicità che aspira quasi a un’astrattezza virtuale. Mancano però il sangue e il sudore (quelli che comunque si vedono nel Karate Kid versione 2010 o nella poesia kitsch di Danny the Dog), oltre ad avere soluzioni alla lunga ripetitive come il flashback con le lezioni della madre ogni volta che Jin è in difficoltà. Non cattura, però ipnotizza.
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