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Non aprite quella porta 3

Regia di Jeff Burr vedi scheda film

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La recensione su Non aprite quella porta 3

di scapigliato
8 stelle

A pochi anni di distanza dal secondo episodio arriva il terzo. La famiglia per ovvie ragioni narrative cambia, e Leatherface è adottato in toto da alcuni suoi simili tra cui Viggo Mortensen davvero efficace nei panni di perverso macellaio. Rimane però, quasi inspiegabilmente, il nonno mummificato, che come dicono gli autori è qui per autocitarsi, come un gioco per non prendersi sul serio. La storia è molto incisiva e la solarità delle prime scene desertiche che cozza con tutto il seguente sviluppo notturno codifica l’intento principale del film: fare un episodio di una serie cult viaggiando su binari paralleli, ma deragliando verso un’opera personale, quale è quella del bravo regista Jeff Burr. Infatti l’iconografia western, precisa nel personaggio di Mortensen che si fa chiamare Tex, e che già era stata adottata nei due capitoli precedenti per parallelizzare la demistificazione del sogno americano da sempre legato alla conquista dell’Ovest, è qui utilizzata con più consapevolezza icastica.

Abbiamo una coppia alla deriva che vive la propria rottura sulle corde di un incubo ad occhi aperti, perché a detta di molti questo Leatherface è più impressionante dei precedenti. Gli manca di certo la dimensione romantica che aveva il primo di Gunnar Hansen mentre coreografa “la danza della sega” a fine film, ma acquista sicuramente uno status orrorifico più caratterizzante. Perde la sua goffaggine leggendaria, ma grazie a quella graziosa idea della gamba con la protesi meccanica recupera l’aspetto terrorifico e incalzante di un bogey-man che si rispetti. Certo, Leatherface non è un killer metafisico come i suoi “fratelli” Michael, Jason e Freddy (i quattro moschettieri del new horror), ma sicuramente con questo terzo episodio ambisce a diventarlo. Infatti alla fine del secondo, “Faccia di Cuoio” veniva sventrato dalla motosega di Dennis Hopper, e se anche fosse stato un taglietto da niente c’è sempre l’esplosione finale che non lascia appelli. Quindi ecco uno dei quattro fratelli salire di grado e diventare maturo come gli altri tre, anch’essi partiti da personaggi di questo mondo, tranne Freddy che parte subito in quinta come perturbazione impalpabile. Michael prima di tornare come invincibile personificazione del Male è stato un semplice assassino psicopatico che scappato dal manicomio miete le sue vittime in attesa di colpire la sorella. Jason invece appare solo nel secondo capitolo, perché nel primo il vero assassino di Cristal Lake è la di lui madre. E questo non se lo dimenticheranno facilmente tutte le Drew Barrymoore del genere horror, visto la fine che fa quest’ultima in “Scream”. Comunque, almeno a questo stadio evolutivo di Leatherface, non ci troviamo ancora in pieno assassino metafisico, ma siamo a metà strada tra questo e la personificazione improvvisa di una brutta leggenda metropolitana. L’importante è che il film di Jeff Burr, nonostante diverse controversie produttive con la New Line, sia una macchina ben congeniata che mostra bene la ferocia che si nasconde dietro la parvenza del “va tutto bene”, e che anche un affascinante cow boy, simbolo del buon americano, sia in realtà un pazzo assassino pronto a farti a pezzetti. Molto sovversivo anche per aver introdotto un elemento intoccabile come i bambini all’interno di una vicenda deviata e deviante. Ma si sa, dalle brutture del Sistema non se ne salvano nemmeno i bambini, che ne sono poi le prime vittime.

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