Regia di Stephen Frears vedi scheda film
Il titolo vuol dire "La mia bellissima lavanderia", ma il film non ha la sola prospettiva del protagonista, Omar, pakistano figlio di un immigrato in Inghilterra che si fa affidare dallo zio arricchito e non proprio cittadino-modello una lavanderia a gettoni. Il punto di vista che Stephen Frears utilizza nel film che lo consacrò come "autore" cinematografico britannico (ancora prima delle Relazioni pericolose, che lo trasformò in artista) è un'effervescente e giovanile (anche un po' immatura) presa di posizione contro qualsiasi tipo di intolleranza. La si potrebbe definire poi contro il razzismo, l'eventuale omofobia (mai espressa, ma leggermente avvertita), ma Frears non sta troppo attento alle etichette (come forse vorrebbe invece la sceneggiatura, comunque ottima, di Hanif Kureishi). Lo stile spigliato e istintivo della sua regia è quanto di più coerente con lo spirito generale di My Beautiful Laundrette, in cui i ruoli dei protagonisti si trasformano, i personaggi non sviluppano canoni prestabiliti e la trama evolve in maniera decisamente imprevedibile. Ad enfatizzare il carattere strampalato e genuinamente originale di questo piccolo grande film è proprio la costruzione dei caratteri: il protagonista Omar, Gordon Warnecke, parte come giovane insicuro e si trasforma in piccolo padrone finto-virile ma con un grande debole per Johnny, Daniel Day-Lewis, qui a una delle sue prime interpretazioni importanti, un razzista trasformato dall'amore nei confronti di chi meno si sarebbe aspettato, proprio l'Omar che a scuola da piccolo prendeva continuamente in giro. Allo stesso tempo desta interesse il personaggio di Tania, Rita Wolf, terzo componente di un curioso ménage a trois, in cui lei, Omar e Johnny cambiano continuamente posto, senza negare mai l'omosessualità degli ultimi due, ma nascondendola ai più.
Il film si costruisce su questo, sui suoi personaggi. Il ritmo è svelto ma non esagera, e sa evitare per un pelo un certo piglio grossolano, anche nella regia un po' insicura. Merito comunque degli interpreti quello di rendere My Beautiful Laundrette un curioso e a suo modo affascinante ritratto di un'epoca come di un rapporto, quello fra inglesi e immigrati in periodo thatcheriano: gli stereotipi etnofobici vengono ribaltati, e Johnny decide di servire il pakistano di turno perché non può lasciarlo in quel dato momento. E intanto la famiglia di Omar, che grazie allo zio si è arricchita ma trascorre una fase infelice (proprio lo zio si porta in giro un'amante "di rappresentanza" che fa imbestialire sua moglie), investe la trama con i suoi diversissimi dilemmi, rivelando come sia antiquato preoccuparsi per eventi apparentemente stranianti (come immigrati che cacciano altri immigrati dalla loro casa perché non paganti l'affitto). Dunque il film ribalta il dire comune, le logiche più banali, e si compiace della sua originalità, con una verve (quando giusto drammatica) invidiabile per qualsiasi semi-esordiente (già Frears aveva realizzato 3 lungometraggi meno celebri nell'arco di 12 anni), specie negli anni Ottanta.
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