Regia di Stephen Frears vedi scheda film
Dapprima sembra una storia di iniziazione criminale: in una famiglia di pakistani immigrati in Inghilterra un giovanotto viene preso in cura dallo zio e dal suo braccio destro, implicati in traffici loschi, e riceve l’incarico di gestire una malmessa lavanderia automatica. Poi il ragazzo prende come socio un teppistello, con cui ai tempi della scuola aveva intrecciato una relazione, e da lì in poi gli ingredienti si moltiplicano alla rinfusa: si parla di integrazione sociale mancata o rifiutata, di ambiguità sessuale, di sofferta ricerca della propria identità. È un film che mette insieme troppe cose e lo fa con poca chiarezza: si intravede la parabola umana di un personaggio che smarrisce il senso della propria appartenenza a una comunità e si converte alla religione del denaro (uno dei fili che restano in sospeso è per es. il suo rapporto col padre, ex giornalista alcolizzato, che andava sviluppato meglio), ma è una storia che procede a zigzag e approda a un finale che lascia perplessi; anche le dichiarazioni di antithatcherismo appaiono persino gratuite nella loro programmaticità. Ma forse il vero problema, almeno per me, è la mancanza di qualcuno con cui potersi identificare.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta