Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Dopo Dies irae (1943) Dreyer, perfezionista e maniacale controllore delle proprie opere e già per questo guardato con diffidenza dai produttori, ebbe un lungo periodo di crisi lavorativa (e già per arrivare a girare Dies irae dovette sudare parecchio). Negli anni intercorsi fino a Ordet, uscito nel 1955, il Maestro danese si dedicò – pur controvoglia, ma sempre mantenendo un altissimo standard professionale – a una serie di cortometraggi documentaristici su commissione dell’Istituto cinematografico nazionale. Fra gli altri girò questo lavoro di appena un quarto d’ora di durata incentrato sull’architettura delle oltre duemila chiese edificate nei villaggi della Danimarca; accanto alle riprese degli interni e degli esterni delle costruzioni si svolge la parte ‘sociologica’ del documentario, con scene di battesimi, matrimoni, messe. Curiosa l’assenza di funerali, data la portata esistenziale del messaggio di Dreyer: ma in fondo si trattava di un prodotto destinato al grande pubblico, solitamente abbinato a un lungometraggio nelle proiezioni cinematografiche, e quindi in un certo senso ‘leggero’, non eccessivamente impegnativo dal punto di vista intellettuale e critico. 6/10.
Documentario sulle piccole e grandi chiese dei paesini danesi; sono oltre duemila, di stile romanico o gotico a seconda del periodo della costruzione, ma tutte con la medesima finalità: sono un luogo di ritrovo per i paesani.
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