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Love Is All You Need

Regia di Susanne Bier vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Love Is All You Need

di laulilla
4 stelle

Dal cinema danese e da una regista stimata - anche troppo - come Susan Bier, ci si aspetterebbe un film meno banale.

 

Ida (Trine Dyrhol), che fa la parrucchiera a Copenhagen, è una donna ancora bella, anche se molto provata dalla malattia di cui porta i segni, ancora ben visibili. Il suo seno, infatti, è stato devastato da un crudele intervento demolitivo, mentre la lunga e dura chemioterapia l’ha costretta a celare la calvizie sotto una liscia parrucca bionda.

Ha mantenuto, tuttavia, una notevole serenità, tanto che si dice certa, parlando col medico che le annuncia la fine della cura, che non occorra ricostruire il seno col silicone: al marito Leif (Kim Bodnia) piacerà sicuramente anche così.

Quando rientra a casa, purtroppo, però, la realtà si affretta a smentirla: trova infatti il marito, “in pausa pranzo”, dirà lui quasi a giustificazione, impegnato a spassarsela allegramente, sul divano di casa, con una bella segretaria rumena.

Il tentativo di fuga della giovane seminuda, la furia con la quale, goffamente, egli tenterà di ricomporsi è probabilmente un momento fra i migliori del film, perché quella che potrebbe essere una pochade, volgarotta e più volte vista al cinema, è una scena dolorosa raccontata attraverso lo sguardo incredulo di lei, addosso alla quale crolla davvero il mondo, vacillando quella fiducia in lui, che le aveva dato, almeno così si era illusa, la forza per reagire alla malattia.

Ora dovrebbero partire entrambi per l’Italia, per assistere al matrimonio della figlia Astrid, ma Leif non partirà.

 

Ida, da sola, con la testa altrove, mentre cerca di parcheggiare all’aeroporto, va a sbattere con la sua auto contro quella di un maturo e fascinoso vedovo, Philip (Pierce Brosnan), uomo d’affari piuttosto arrogante che importa prodotti ortofrutticoli dalla Romania.Anch’egli si accinge a partire per l’Italia, per raggiungere il figlio in procinto di sposarsi: com’era da subito intuibile - uno dei difetti principali del film è la prevedibilità delle situazioni e degli sviluppi - Philip è il padre del giovane Patrick, fidanzato di Astrid.

Si apre a questo punto uno scenario completamente diverso: quello dell’Italia del Sud, della bella campagna sorrentina, dove sorge la casa un tempo abitata da Philip, luogo prescelto dalla giovane coppia per le nozze e i festeggiamenti, ma anche sfondo delle storie d’amore che nasceranno o che si realizzeranno, non appena i personaggi del film avranno fatto chiarezza dentro di sé. 

 

l film appare nettamente diviso fra i due luoghi in cui schematicamente e simmetricamente si inseriscono diversi stati d’animo: la Danimarca, fredda e brumosa, cui sono legati i temi drammatici della  malattia, delle paure che continua a suscitare, della crisi familiare, della fine delle illusioni; l’Italia del Sud, solare e ricca di colori, ambiente dell’amore, della speranza, della prospettiva di ogni positivo cambiamento.

 

Questo aspetto del film, che si trasforma a poco a poco in commedia sentimentale, è assai poco convincente: la costruzione del racconto appare presto eccessivamente geometrica, anche perché la regista, che pure è tra le più apprezzate protagoniste del cinema danese, pare aver preferito utilizzare, senza porsi troppe domande, i luoghi comuni che associano, sciaguratamente, all’Italia l’amore, il buon cibo, il buon vino e le belle smandolinate.

A suggellare molto degnamente questo stucchevole stereotipo, la famosa e orecchiabile That’s amore, diventando il leit motiv dei momenti cruciali del film, contribuisce non poco a renderlo, per me,  molto irritante.

Si può trovare facilmente in rete, per la voce di Dean Martin, l’elenco delle cose kitsch della canzone, connotative, ahimè, del carattere nazionale...

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