Regia di Ruggero Dipaola vedi scheda film
A distanza di un anno, dopo che il film ha partecipato ad un bel po’ di festival internazionali, con diversi riconoscimenti, esce nelle sale italiane Appartamento ad Atene, opera prima del co-sceneggiatore e regista Ruggero Dipaola. Si tratta dell’adattamento dell’omonimo romanzo di Glenway Wescott.
La storia è ambientata nel 1943, ad Atene, in un appartamento requisito per ospitare un ufficiale tedesco. Nell’appartamento vivono gli Helianos, un tempo editori e benestanti. Hanno due figli, una bambina di tredici anni ed un ragazzo di dodici, la cui giovane età e la situazione rendono ribelle e vendicativo. L’arrivo del capitano Kalter, metodico, ascetico e crudele, ospite inquietante, rivoluziona la vita e le abitudini della famiglia. Gli Helianos si sottomettono, remissivi, senza altra identità che la loro acquiescenza. L’appartamento diventa una sorta di contenitore che tiene ben nascosti tutti i protagonisti della storia, fino a quando il padrone parte per la Germania, e i servi scoprono che la libertà non ha alcun senso, che la tortura continua. Quando Kalter torna, è un sollievo. E’ cambiato: più gentile, indulgente. Di un’indulgenza che disorienta. Ma è un fragile equilibrio. Correnti sotterranee di odio agiscono in segreto e preparano un’agghiacciante vendetta.
Dipaola costruisce un film, puntando cervelloticamente sulle dinamiche psicologiche che si instaurano tra l’inseguitore e gli inseguiti, le vittime e il carnefice: un padre che si rivela remissivo, l’adolescente che mostra un’attrazione morbosa per l’autorità con la divisa, a differenza del bambino, pronto a subire le conseguenze dei propri gesti ribelli, insieme ad una madre forte e coraggiosa.
Buona l’intenzione del regista, mediocre l’esito. I personaggi, chiusi nell’appartamento, luogo di rappresentazione e centro dell’azione, sembrano credibili ma solo nei primi quindici minuti di film, poi tutto si sfilaccia e il film ha l’effetto di ammorbare e annoiare. Nonostante l’introdurre dello spettatore, che si affaccia non affatto in punti di piedi, ma attraversa i corridoi e i meandri più bui della casa, il film non provoca alcuna emozione. E’ giusta la definizione per questo film, “cinema da camera”, inteso come quel cinema che ti prepara al sonno che può provenire dalla stanchezza o dalla noia. Ci si desta e tutto era già previsto nella prima mezz’ora di film. Tanto vale starsene a casa. A dormire.
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