Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
“Ma voi pensate che spaccare la faccia alla gente sia una cosa che mi piace ? Prima di decidere chi sono gli innocenti e i colpevoli, dovrebbe almeno chiedersi come funziona. Il lavoro della celere. Ma in quei momenti hai il cuore che te batte forte, l'adrenalina che sale... a mille, la testa che te rimbomba che sembra che te va a scoppià dentro il casco non senti niente. Hai solo i tuoi fratelli accanto... Solo su i tuoi fratelli puoi contare “
Stefano Sollima prende il romanzo criminale già raccontato (e molto bene) nella celebre serie televisiva e lo porta al cinema. Niente delinquenti di borgata alla conquista di una città stavolta, ma uomini in divisa, quelli che la città la difendono (o la dovrebbero difendere).
Tirata però via la patina della convenzione sociale, quella che vuole guardie e ladri su due bastioni opposti, viene fuori una realtà scomoda che parla di persone di estrazione sociale e culturale ugualmente depressa, che si ritrovano sì contrapposti ma in fondo troppo simili.
C'è un alone di ideologia fascista sulle “imprese” di Cobra, Mazinga e Negro, che con un casco in testa e un manganello in mano combattono la violenza dei disadattati praticando una violenza “di Stato” non meno dura e altrettanto profondamente radicata nel disagio sociale.
Colpisce in modo particolare il rapporto che Mazinga ha col figlio, membro di un gruppo di Ultras. Padre e figlio: due mondi lontani, inconciliabili; ma è solo apparenza, i due sono in realtà le facce di una stessa medaglia (e il legame di sangue che li unisce è forse un modo per far arrivare il messaggio della similitudine fra due modi di “vedere la vita” in apparenza così stridenti) e quella è la medaglia della violenza dell'intolleranza, del fascismo. Simpatie fasciste ha il figlio di Mazinga, che odia gli immigrati e odia il padre perché la polizia non fa abbastanza contro gli stessi, fascista è Cobra, compagno d'armi e di battaglie di Mazinga, che tiene il busto del duce in casa.
Alla fine tutto è travolto da un'onda di rabbia che sembra non voler lasciare indenne l'innocenza di nessuno, perché non esistono una violenza legittima e una illegale,è solo violenza e basta.
Sollima torna in qualche modo a ripercorrere le stesse strade di Romanzo Criminale – la serie, nel modo in cui racconta la solidarietà tra i compagni di misfatti, là una banda di criminali senza scrupoli che arrivano a dominare Roma, qui un gruppo di poliziotti abbandonati a se stessi.
Perché, come spiega benissimo il personaggio di Favino nella frase citata all'inizio, fai presto a raccontarti che sei lì a rappresentare uno Stato e un sistema di leggi, quello che vedi e che hai davanti sono individui che non sanno neanche come ti chiami, se hai una vita e dei figli, vogliono solo massacrati proprio perché rappresenti un qualcosa che per molti, forse troppi, non è un società in cui riconoscersi ma solo un sistema che ti sfrutta e se ne fotte dei tuoi problemi.
Una guerra tra poveri, frase preconfezionata eppure assolutamente calzante per quello che è il senso più diretto che arriva dalle immagini del film.
E quando Negro, di fronte alla impossibilità di vedere la figlioletta a causa delle resistenze della ex moglie, si scaglia in un monologo contro i politici, emergono prepotentemente la frustrazione, il rancore e la delusione verso chi dovrebbe occuparsi dei problemi della collettività e invece, arroccato nel palazzo del potere, non ha neanche la voglia di affacciarsi per ascoltare il grido di rabbia di un poliziotto.
“Un padre ha diritto di vedere sua figlia, lo dice la legge.......a meno che non sia un criminale. Ma io non sono un criminale, sono un poliziotto, un servitore dello Stato.......uno pagato per difendere i diritti di tutti..... ma i diritti miei chi li difende eh? ….....sì perché io come padre non c'ho più diritti, me li avete tolti tutti come a un criminale.......anzi peggio....perché quando la gente viene qua a volervi mena' per tutti i soldi che gli arrubate allora mi ci volete qua sotto.... a paravi il culo....a difendere i diritti vostri......”
A rompere gli schemi del gruppo arriva Adriano, celerino agli esordi, anche lui proveniente da una situazione sociale di degrado (la casa popolare assegnata alla madre è occupata da un gruppo di tunisini). Adriano sembra omologarsi agli schemi di violenza dei compagni, salvo poi trovare la forza di ribellarsi di fronte all'ennesimo episodio di calpestio della legalità.
Finale che lascia una speranza........o forse no: le ultime immagini riportano i nostri in prima linea, con gli scudi alzati, i caschi calati e i manganelli pronti a sfasciare le membra di chi esprime il suo disprezzo per un un mondo senza speranza abbandonandosi a una violenza senza senso.
Cast strepitoso, Pierfrancesco Favino torna a indossare la maschera di tragica amarezza che era già del Libanese in Romanzo Criminale (quello di Placido) Marco Giallini è un sofferente Mazinga mentre Filippo Nigro è il padre frustrato Negro. Bravo il giovane Domenico Diele, perfetto nel ruolo di Adriano.
E fra le tante scene che ti colpiscono come un pugno, una su tutte: Cobra assolto dall'accusa di aggressione a un tifoso durante un servizio d'ordine allo stadio, che festeggia con i compagni pogando sulle note di Police on my back dei Clash
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