Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
Negli occhi che fremono, nelle mani che si alzano e nel tonfa che batte si trasmette tutta l’irruenza e la forza nuda e cruda dello Stato.
Lo Stato che afferma se stesso con gli unici mezzi formalmente leciti di cui dispone.
Perché principi e diritti sono (troppo spesso) astrazioni giuridiche buone solo per cinici, politicanti ed azzeccagarbugli.
Mentre, giorno dopo giorno, esposti alla furia degli elementi (della natura… umana) ci sono loro.
I celerini: “bastardi” e “figli di put****”.
Stipendiato per eseguire ordini superiori e lasciarsi schernire liberamente (o pestare finanche) dalla gente frustrata ed umiliata (perché non c’è il lavoro, perché non c’è la casa, perché la propria casa è invasa dagli stranieri, perché la propria “amata” ha perso l’appuntamento con la vittoria - calcistica - o per un qualsiasi altro motivo, sensato o meno che sia) il celerino, più essere umano di chiunque altro, sfoga sé stesso in un delirio di violenza legalizzata che, sistematicamente e puntualmente (come ogni santa domenica), ritorna nel circuito della strada (da dove è scaturita). Pronta per essere restituita con gli interessi e così via… in un circolo vizioso che non avrà mai fine fin quando non ci sarà stato un radicale cambiamento culturale. A favore della cultura dei poliziotti onesti, disposti a fare il loro lavoro con maggiore rispetto e dignità. Costi quel che costi.
Sollima (coadiuvato dallo strepitoso montaggio di P.Marone) racconta con enfasi e senza compromessi (Stuntman Miglio) l’esasperazione e la rabbia alimentata da focolai di tensione inesauribile. Che si “cibano” di sangue e bestiale violenza.
E mentre fotografa (e ritocca) il degrado, apre armadi pieni di scheletri (una sola parole su tutte: Diaz). Ferite infamanti che solo un incondizionato cameratismo può tentare di richiudere.
Sollima intreccia - in un film corale (che, nondimeno, toglie il respiro per la ristrettezza di vedute del prescelto campione di umanità) - le storie di una piccola unità di poliziotti di strada, alle prese con le grane del loro “sporco” lavoro e (ancor prima) con quelle (forse ancor più dolorose) che devono affrontare dismessa la divisa.
Dapprima questo ordito narrativo funziona alla grande perché l’irruzione nel cuore pulsante del marasma quotidiano è brusca, ma controllata e domata con esperienza.
Dopodiché tutto sfugge un po’ di mano; ai protagonisti ed al film. I pesi delle responsabilità individuali e collettive si fanno sempre più gravosi e si fa presto a perdere il senso della misura e dell’equilibrio. E si fa presto a lasciarsi travolgere dagli eventi, quando si imbocca una strada a senso unico. Ma il tempo del riscatto - come nella più tradizionale cinematografia consolatoria - non giunge mai in ritardo.
Mentre un’altra notte di passione è alle porte.
Al netto di talune (evidenti) contraddizioni e forzature narrative, nonchè dei saltuari eccessi di realismo, l’obiettivo del film si può dire ampiamente raggiunto. Picchiare su più fronti, senza tregua, cedimenti, reticenze e commiserazione.
Ma - sorge spontanea la domanda - chi li para i colpi?
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