Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
Una volta erano la splendida cornice di pubblico, almeno nel gergo da Domenica Sportiva. Spesso sono una questione di ordine pubblico, anche se il calcio moderno ne ha ridimensionato le gesta, confinandoli al terzo anello per non disturbare lo spettacolo televisivo. Ma la violenza degli ultrà del calcio è solo l’aspetto più “glamour” della deriva in cui è piombata una società accecata dall’odio, che da un pezzo non è più quello politico degli anni 70. La follia è dietro l’angolo. Tutti i particolari in cronaca. E di questo parla il film di Stefano Sollima, figlio di Sergio, che faceva western politici con i peones messicani perseguitati, solo in apparenza farabutti. Anche in ACAB, acronimo che spesso si vede sui muri e sta a indicare che All Cops Are Bastards, non ci sono buoni e cattivi. Solo cattivi. Il film, ispirato al libro di Carlo Bonini (Einaudi), segue vite e carriere, amori e dissapori dei celerini cresciuti nel culto della Destra estrema. Dal loro punto di vista. Credere, obbedire, combattere. Mentre in sottofondo riecheggiano fatti di nera, di morti ammazzati vicino e lontano dagli stadi. «Prima di chiedersi chi sono gli innocenti e i colpevoli bisogna chiedersi come funziona il lavoro della Celere» spiega lo sbirro Pierfrancesco Favino a chi lo ha messo sotto inchiesta con l’accusa di essere il braccio violento della legge. Il concetto è basato sul dualismo “noi” e “loro”, gli altri: ragazzi di borgata e disperati dell’Est, i nuovi schiavi. Delinquenti si nasce o si diventa? Seguirà dibattito. Ma le illusioni sono al tramonto e le colpe dei padri ricadono sui figli. Storia molto maschia, pure troppo. Gladiatoria, molto romana. Con un incipit che non t’aspetti: «Celerino figlio di puttana» si sente, cadenzato, nel buio. Alla fine forse non si salva nessuno. L’opera prima di Sollima, dopo il Romanzo criminale. La serie prodotto da Sky, non fa sconti. Il suo è un realismo duro e puro, poco compiaciuto, per nulla folkloristico. E al suo servizio si muove un gruppo di attori dall’incisività quasi teatrale. Lo sguardo e il ritmo forsennato sono gli stessi che avevano caratterizzato la serie televisiva. Così come uguali sono gli sceneggiatori, che si perdono in chiacchiere, divagano, prendono la rincorsa. E alla fine ci si aspetta il rimando alla prossima puntata.
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