Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
Uno dei film italiani più belli che ho visto negli ultimi 10 anni. Diciamo subito che si tratta di un prodotto piuttosto controverso, che ha provocato reazioni disparate, alcune delle quali occupano ancora le colonne dei quotidiani, e non solo nelle pagine riservate agli spettacoli. Come è ormai a conoscenza di tutti, il film mette sotto la lente le vite aspre, ruvide e decisamente inquiete di una manciata di componenti del famoso "reparto celere", quelli che, nell'accezione popolare di ognuno, sono deputati a reprimere duramente le sommosse, le intemperanze di tifosi ultras e di ogni tipo di manifestanti. Il film è la trasposizione cinematografica di un libro scritto da una delle firme di punta del giornalismo civile-investigativo nazionale, Carlo Bonini di "Repubblica". Occorre specificare in proposito un paio di cose. Lo stesso autore del libro ha riconosciuto la qualità del progetto e ha peraltro partecipato alla promozione del film. E il libro stesso già all'epoca della pubblicazione aveva provocato a suo tempo reazioni polemiche, che furono tuttavia contenute rispetto a quelle -ben più vivaci- di questi ultimi giorni. Il film ha infatti fatto registrare le proteste di alcuni sindacati di polizia, ma questo era ampiamente prevedibile e non ci stupisce affatto. Ovviamente c'è anche chi ha espresso opinioni opposte accusando la pellicola di aver solo blandito la violenza di questi reparti operativi. Vedendo il film infatti non si fatica ad intuire che le immagini mostrate non siano piaciute nè ai manifestati No-Tav (per dire), nè agli ultras di calcio nè -tanto meno- a buona parte di chi nella celere ci presta servizio permanente. Il motivo è scontato: se uno segue il film da una posizione in qualche modo "militante", avrebbe desiderato vedere supportata la propria causa. E qui sta la bellezza del film. Che non prende nessuna posizione. Non sposa nessuna tesi. Compie la scelta di analizzare il lato umano di questi poliziotti per cercare di capire che razza di "animali" sìano. Il lavoro di scavo psicologico viene condotto in modo ineccepibile dall'ottimo regista Stefano Sollima. Era prevedibile la protesta di quei poliziotti che sono intervenuti per dire "noi non siamo così", questo dissenso è nella logica delle cose. Personalmente ritengo invece che i personaggi rappresentati nel film siano perfettamente emblematici di una psicologia e di uno sguardo ampiamente diffusi tra chi milita in questi corpi speciali di polizia. Mi è capitato di leggere irrisioni e malizie d'ogni tipo in un servizio apparso su "Libero" e qui apro una breve parentesi che la dice lunga sulla portata intellettuale della nostra stampa di destra ogni volta che assume toni "birichini". "Libero" ha pubblicato un'intervista all'attore Favino in cui egli si dissocia da coloro che avrebbero utilizzato il film a scopi propagandistici progressisti e conclude affermando che lui comunque "sta coi poliziotti". Ma Favino è persona troppo intelligente per coprirsi di ridicolo rilasciando dichiarazioni di quel tenore, e infatti ha subito smentito "l'avventuroso" quotidiano diretto da Belpietro. Il punto è che questo film ha un pregio su tutti: non fa sconti a nessuno. Da questa vicenda tutti escono con le ossa rotte, e i drammi umani e le precarietà famigliari non possono giustificare l'atteggiamento di chi vede nella sopraffazione, nel rancore, nella vendetta le sole chiavi per risolvere ogni conflitto umano o sociale. Perchè questo approccio sbagliato finisce col rendere quei poliziotti speculari a quei cittadini violenti che essi vorrebbero contrastare. Sono persone destinate ad essere infelici e per placare questa insoddisfazione sono costrette ad alimentarsi quotidianamente di ODIO. Gli ultras ODIANO i poliziotti celerini ancor più dei tifosi avversari. I giovani nazi-skin che si vedono nel film ODIANO gli extracomunitari ma anche i poliziotti, colpevoli di essere troppo teneri coi "clandestini". E i poliziotti ODIANO sia gli ultras, sia gli extracomunitari, sia i ragazzi con le teste rasate. Alla fine l'importante è avere un Nemico da ODIARE. L'ODIO come cibo, come dipendenza, come ciò che dà senso ad una vita vuota. Desolante, vero? Per quanto mi riguarda, forse è per questo che non ho amici nè tra gli ultras, nè tra i naziskin, nè tra i celerini. Ovvio poi che in ogni categoria di persone esistono le mele marce, tuttavia sono convinto che chi opera -per scelta o per necessità- al centro della violenza, a un certo punto non può evitare di viverla -la violenza- come una dipendenza, come una irrinunciabile scarica di adrenalina. Il sottoscritto -esattamente all'opposto rispetto a costoro- DETESTA l'idea di SCONTRO fisico, perchè ritengo che esso esprima (anzichè un concetto di "sfida virile") il lato più bestiale di ogni essere umano. E tornando a celerini e ultras, ribadisco che si tratta di categorie cui -per definizione, per cultura e tradizione- prudono costantemente la mani. Ho detto prima che in questa storia d'odio nessuno si salva. E tra coloro che ne escono peggio ci sono senz'altro i politici, qui rappresentati da un candidato sindaco romano, un giovane fighetto in carriera il quale conduce una campagna elettorale che sfrutta cinicamente il bisogno di sicurezza dei cittadini. Sulle doti di Sollima come regista tornerò più avanti, ma va detto che egli ha potuto contare su un gruppo d'attori in reale stato di grazia. Pierfrancesco Favino, qui nella sua finora migliore interpretazione, raggiunge vette di intensità pazzesche; Marco Giallini attore straordinario finora troppo sottovalutato, una di quelle "facce da cinema" che perfino gli americani potrebbero invidiarci (quelle facce vissute, un pò alla Harry Dean Stanton); Filippo Nigro visto tante volte al cinema ma mai così intenso: Domenico Diele e Andrea Sartoretti, entrambi di una bravura sorprendente. E lasciatemi esultare da cinefilo frustrato, perchè finalmente (con un bel film potente, corale, nervoso) possiamo collocarci alla pari (se non addirittura superare) rispetto ai nostri cugini francesi, dimostrando loro che non siamo buoni solo a fare le solite commedie ruffianissime. Ci si potrebbe chiedere (qualcuno lo ha già fatto) che tipo di cinema è questo. Nonostante sia facile farsi fuorviare, diciamo subito che non è cinema di genere. "Romanzo criminale" probabilmente lo era, ma questo no. Io opterei per un insolito mix di poliziesco e di cinema d'impegno civile (quello che faceva Elio Petri per intenderci, ma aggiornato ai nostri tempi). Vorrei segnalare almeno tre scene ciascuna delle quali vale il prezzo del biglietto. Quella in cui un Giallini claudicante entra in un centro sociale di estrema destra deciso a riprendersi il figlio che là si era stabilito. Poi la sequenza -tremenda per intensità- di Favino che depone come imputato ad un processo per aver malmenato un ultrà: in quei pochi minuti l'attore esibisce uno sguardo talmente partecipe e coinvolto da mettere quasi a disagio lo spettatore. E infine l'inquadratura conclusiva, esaltante, dei tre poliziotti: tre uomini soli contro tutti. Nel buio, loro si volgono in ogni direzione, perchè intorno a loro, in una location fantasma, si muovono veloci ed invisibili, delle figure spettrali: è il Nemico, minaccioso e inafferrabile. Da segnalare inoltre un paio di dettagli che ci indicano come questo "progetto" sia stato realizzato con cura. La locandina del film, graficamente molto bella. E poi una colonna sonora favolosa, realizzata in gran parte dal gruppo romano dei Mokadelic. E mi piace chiudere omaggiando Stefano Sollima, che già conoscevamo per l'ottima direzione della serie tv "Romanzo criminale", ma che in questo esordio cinematografico si è davvero superato. Quel suo modo nervoso di gestire la macchina da presa a me (e non solo a me) ha ricordato William Friedkin. Grazie Stefano, per una volta noi cinefili non dobbiamo vergognarci di essere italiani. Alla faccia degli Immaturi e dei Brizzi.
Voto: 10
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