Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
A.C.A.B. e' l'acronimo di "All cops are bastards", motto che diversi ultras o sbandati si fanno addirittura tatuare sul corpo per evidente spregio ad un servizio d'ordine con cui uno Stato traballante cerca di frenare furori spesso senza senso o comunque figli di un disagio e di una ribellione che nasce da situazioni di sbando esistenziale, da mancanza di coesione tra culture, da sentimenti di esaltazione che vanno ben oltre il senso agonistico e lo sport.
Seguiamo in particolare le gesta di quattro celerini romani, tre gia' esperti piu' una recluta. Il lavoro e' ingrato, pericoloso, pagato meglio di altre mansioni, ma non cosi' tanto da non invogliare i quattro a saltuari lavori in nero come buttafuori. Cobra (un Favino convincente come al suo solito) e' inoltre inquisito in seguito alla denuncia di un ultras offeso e picchiato allo stadio e per questo rischia grosso; Mazinga (Giallini duro e stilizzato come un fumetto) ha perso ogni tipo di rapporto civile col figlio che frequenta proprio le bande che il padre percuote con scudo e manganello; Negro (un Nigro bravo e tutto occhioni cerulei bellissimi e disperati) che perde moglie cubana e figlia per comportamenti non troppo responsabili che lo portano giu' in un baratro senza via di scampo. E infine c'e' la recluta, Adriano, nemmeno ventenne che si sceglie il lavoro piu' ingrato per poter mantenere una madre sfrattata di casa e impossibilitata a trasferirsi nella casa popolare assegnata perche' occupata da immigrati clandestini.
Il pregio del film e' una sceneggiatura perfettamente calata nei tragici fatti di cronaca degli ultimi dieci anni, che hanno visto da una parte le forze dell'ordine soccombere in stadi, uccisi come vitelli da una violenza immotivata e gratuita, ma anche all'opposto le forze armate macchiarsi di morti gratuite come quella del tifoso laziale all'autogrill o rendersi protagoniste dei drammatici episodi di Genova all'epoca del G8.
Cronaca e tensione, disperazione che porta all'intolleranza e ad una giustizia sommaria che acuisce le disparita' e crea ancora piu' divisione. Sollima, figlio dell'buon regista d'azione (e papa' di Sandokan) Sergio, dirige un buon prodotto medio forse piu' adatto ad una fruizione televisiva; ma comunque si tratta pur sempre di quella buona fiction televisiva a cui il regista ci ha gia' abituato con l'adattamento per il piccolo schermo (che ho letto essere stato di buon livello) dell'ottimo romanzo di De Cataldo, Romanzo Criminale.
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