Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film
Stalin rinasce dalle viscere di Stalin. La storia è una catena di montaggio, un processo seriale che crea e distrugge; la morte divora, uno dopo l’altro, i suoi miti, ma ne produce sempre di nuovi, in modo da poter costantemente soddisfare la propria insaziabile fame di leggende da macerare e trasformare in memorie. In questo cortometraggio, che alterna le icone dei presidenti sovietici (Stalin, Krusciov, Breznev, Andropov, Gorbaciov) alle immagini di manifestazioni di regime, la Cecoslovacchia del 1990 appare ancora allineata ad un capitolo della storia europea che si credeva definitivamente chiuso: purtroppo sopravvive, invece, quell’azione livellatrice tipica dei totalitarismi, che impedisce alla massa di diventare un popolo di individui liberi e indipendenti. Le parate, le adunate di piazza, i raduni sportivi, tutto porta il marchio della disumanizzazione, della coralità che diventa passività ed azzeramento della dignità individuale, come nei massacri o nelle orge. La svolta politica è solo un cambiamento di facciata, i vecchi simboli si tingono dei nuovi, vivaci colori nazionali (il blu, il rosso e il bianco), ma la base ideologica rimane sempre la stessa. Nel ricordo permane, in fondo, qualcosa che fa ancora sognare, che continua a proporre il suo miraggio di ricchezza, di forza, di grandezza, e che perciò non si vuole mollare. Manca il coraggio del futuro, che fa restare incollati ad un passato di carta e gesso, che si può, all’occorrenza, ridipingere, e che, in ogni caso, è bello conservare tra i propri gloriosi cimeli. L’animazione di Jan Svankmajer, che dona una vita grottesca agli oggetti più futili e sgraziati, si traduce qui in una risurrezione di cartapesta: quella che fa tornare, in mezzo a noi, i fantasmi accartocciati dei potenti che tanto danno hanno arrecato, eppure, inspiegabilmente, appaiono come insostituibili punti di riferimento.
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