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Jabberwocky

Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film

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La recensione su Jabberwocky

di OGM
8 stelle

Con questo corto Svankmajer scatena la sua fantasia in quello che, stilisticamente, è il piatto forte del suo repertorio, ossia le coreografie prive di persone, che però imitano in tutto e per tutto i movimenti umani, amplificandoli con la forza trascinante dell’immaginazione. I personaggi di questo film sono vestiti, bambole, pupazzi, figurine, che sostituiscono l’uomo in una danza sfrenata eppure ritmicamente ordinata, scandita dai soliti processi di nascita e morte, riproduzione e decomposizione, creazione, distruzione, ricostruzione, con qualche incursione nel motivo, di stampo allegorico, del cannibalismo.  L’ambientazione e gli oggetti appartengono al mondo dei bambini: gli elementi della composizione sono giocattoli di varia natura, risalenti ai primi anni del Novecento, che si esibiscono, con grazia ed energia, nel ruolo di allegre reliquie, impreziosite da una patina di un fascino antico, ma ravvivate da una ventata di pittorica freschezza. Nelle loro dinamiche evoluzioni si coglie l’anima spensierata dell’infanzia,  che guarda alla realtà attraverso gli estrosi e  mutevoli meccanismi dei giochi, che, con la semplice rotazione delle tessere di un puzzle, trasformano qualunque paesaggio  in uno scenario completamente diverso. Tutto è per finta, e quindi è innocente, ed è pertanto svincolato da ogni responsabilità, come la guerra combattuta da un esercito di soldatini di piombo. La razionalità è tenuta lontana da un’impulsività primitiva ed impaziente, come quella che talvolta agita la natura accelerandone i processi di rinnovamento. Non c’è ragione di impegnarsi per cercare le risposte, non c’è alcuna fretta di trovare la via d’uscita da un labirinto  - quello che, in questo film, simbolicamente, viene demolito a più riprese dalla rabbiosa zampata di un gatto – fintanto che ci si può permettere di vivere di smarrimento, di assenza di lucidità, di sogni da proiettare sulle pareti di una stanza.   Questo bearsi nell’allucinazione senza tempo è il paradiso che svanisce col raggiungimento dell’età adulta: la fase della vita che richiede di porsi dei traguardi,  di individuare, una volta per tutte, una strada che conduca fuori dall’indeterminatezza dell’immaturità. La matita, nel finale, riesce a compiere per intero il percorso che porta all’uscita del labirinto: ma, una volta all’esterno, il disegno tracciato dalla linea si avvolge confusamente su se stesso, descrivendo solo insulsi scarabocchi. L’avvento della consapevolezza non coincide, purtroppo, con all’acquisizione di un senso, di un orientamento che dia forma e significato all’esistenza. L’educazione ha disciplinato il comportamento, l’animale selvaggio è stato ingabbiato, ma tutto il resto è solo un triste vuoto.  Jabberwocky – il cui titolo riprende quello di una celebre poesia nonsense di Lewis Carroll – è un gioioso inno alla libertà di fantasticare, di considerare ogni cosa come una fonte di invenzione e divertimento: un privilegio che, da grandi, si può riscoprire, concretamente, forse soltanto con l’arte dell’animazione. 

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