Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film
La vita che si vede nella realtà e si racconta nei film non siamo noi: tutto ciò che si traduce in frasi compiute ed in immagini in movimento è, infatti, l’azione in sé, unitamente alle sue conseguenze. Il soggetto agente e le sue ragioni fanno parte di una premessa che non rientra nella concreta sostanza della storia. L’irrilevanza del personaggio umano nella rappresentazione verbale o visiva del mondo sembra essere l’assunto di questo cortometraggio, i cui protagonisti assoluti sono gli oggetti, i mobili, gli abiti, la terra, l’erba, le foglie. Un’opera talmente concentrata sulla vita autonoma della cose da produrre, nelle animazioni in stop motion, autentiche perle di virtuosismo tecnico: un idillio bucolico intriso delle musiche e dei colori della belle époque, in cui davvero bastano un tavolo, una chaise longue, un grammofono, una scacchiera ed un mazzo di carte a creare l’atmosfera di un picnic sul prato. Quella che, in altre opere di Jan Svankmajer, è la continuità materiale tra l’uomo e le sue suppellettili, diventa qui un assoluto predominio di queste ultime, che si trovano ad espletare le loro normali funzioni – con perizia operativa e coscienza estetica - senza alcun intervento da parte della persona. Quanto radicale sia la situazione risulterà chiaro solo nel finale: una paradossale chiusa che ci induce a chiederci se la distinzione tra essere viventi e inanimati non sia, in fondo, contraria alla logica dell’universo fisico. Forse, infatti, per rispettare l’uniformità delle leggi cosmiche, è giocoforza concludere che tutto ciò che è stato creato con uno scopo può, col tempo, imparare a svolgerlo da solo, rendendosi indipendente (e finanche ribelle) nei confronti del suo creatore.
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