Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film
Il protagonista di questo film non è un giardino. È il recinto di una tenuta di campagna, dove si allevano conigli d’Angora e si coltiva l’orto usando il compost come concime. La sua particolarità è il fatto di essere formato non di legno, di plastica o di metallo, bensì di persone in carne ed ossa, che stanno ferme in piedi tenendosi per mano. Un immobile girotondo di uomini e donne di diversa estrazione, piantate lì dal proprietario con criterio e sistematicità: un ingegnere tra due macellai, o viceversa, onde garantire il giusto equilibrio ed un’adeguata varietà. Già in questo film, uno dei primi di Svankmajer, la trama è imperniata su una visione drasticamente materialistica dell’essere umano, che viene ridotto ad un soggetto biologico, pura sostanza organica, messa in circolo da quella immensa catena alimentare su cui si basa la fisiologia del mondo. L’idea è ancora acerba, ed appare azzardata allo stesso autore, tanto che egli la propone circondandola da un atmosfera di straniamento ed imbarazzo: il dramma – che più avanti sarà cinicamente sostituito dalla fredda enunciazione di una teoria – è racchiuso nello sgomento provato di fronte ad una scoperta sconvolgente. Il malefico incantesimo, che in questa storia sembra essere l’origine di tanta stranezza, è destinato a diventare, nelle opere successive, il contenuto di una cinica legge universale, che ci rende schiavi del divenire del cosmo, negandoci il diritto di saperne gli scopi e le ragioni. Le fila della realtà – solo apparentemente distinta in regno animale, vegetale e minerale – sono tenute da una sorta di Grande Agricoltore, che fa crescere la natura, la manipola e la sfrutta, fino ad esaurirne completamente le risorse. Il logos è un motore che non smette mai di macinare, mescolare, amalgamare, plasmare, mettendo insieme, senza distinzione, ciò che nasce spontaneamente e ciò che viene prodotto artificialmente, da un essere pensante e dotato di abilità manuale. Ogni cosa è strumento del tutto, nulla vive per se stesso, e c’è, dietro le quinte della Storia, una forza superiore che, a dispetto della nostra volontà, dirige le danze secondo un radicale principio di uguaglianza, in nome di una generale mancanza di senso.
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