Regia di Giorgio Amato vedi scheda film
Nella casa dell'orco. L'orco di Torre Gaia, nella periferia romana. E' qui che ci fa entrare, e pure da voyeurs dapprima inconsapevoli, poi coscienti, in qualche modo scientemente consenzienti, Giorgio Amato, romanziere e sceneggiatore, qui regista al suo esordio.
Un film quasi amatoriale, una produzione Manetti Bros, che fa (acutamente) di necessità virtù e quindi rende col la naturalezza e spontaneità sgranata e sgraziata delle riprese effettuate da telecamere di un “circuito chiuso” (appunto), la veritiera cronaca dello smascheramento di un serial killer da parte di una giovane dinamica (ed imprudente) e di un suo amico esperto in videocamere ed accessori.
Lo smascheramento tardivo, come si vedrà, anche se non sto svelando molto, visto che il film si permette il vezzo di anticipare non solo informazioni utili, ma persino la sorte che toccherà a molti dei protagonisti, fra cui le sventurate ragazze che finiscono, poverette, attirate nella tana del lupo, allettate da una offerta di lavoro che le aiuti a sbarcare il lunario.
Un opulento uomo sulla cinquantina infatti, di professione giardiniere, riceve diverse visite di donne che rispondono al suo annuncio di una babysitter: l'uomo dice di attendere moglie e figlioletto, e di avere necessità di una ragazza che badi al bambino: in realtà attira studentesse in cerca di lavoro part time nel suo appartamento, le immobilizza, le violenta, le uccide; ne fa a pezzi il cadavere e se ne disfa.
Lo smascheramento avviene da parte di un'amica intraprendente di una studentessa scomparsa, la quale, insospettita dell'uomo (evidentemente l'amica le aveva raccontato dell'annuncio), riesce ad intrufolarsi a casa sua in sua assenza, e dispone delle microcamere in ogni stanza nel tentativo di spiare l'uomo, ricavando indizi di colpevolezza sempre più sinistramente concreti su un individuo ripetutamente segnalato alla polizia dalla giovane, non ritenuta credibile da parte dell'autorità.
Un mockumentary che inizia in modo consuetamente irritante, come d'abitudine quando si attige a questo genere ormai abusato, con le sue ripetizioni, le telecamere che riprendono le varie angolazioni di un microcosmo sinistro ed impersonale come può essere solo la casa di un maniaco, ma che assume un tenace crescendo di suspence valorizzata dall'aspetto rozzamente cronachistico del resoconto, che ci butta in prima linea nella scoperta dell'incredibile e tremenda verità di cui sin dall'inizio ci si rende edotti.
In un crescendo progressivo ed efficace di suspence, il film inevitabilmente cita esempi illustri di situazioni cinefile da voyeur, prima fra tutte, volontariamente o meno, il capolavoro de “La finestra sul cortile”, e nella circostanza il valido attore Stefano Fregni - inquietante e sinistro come se la sua fosse una minaccia più vera del vero - assume i panni minacciosi di un moderno Raymond Burr, spiato questa volta da una tenace giovane di cui la regia si premura di anticiparci la tragica fine.
Giorgio Amato ci spiazza, controlla la dinamica dell'azione con una equilibrata gestione della suspence, che diventa insopportabilmente sadica ma riuscita nel finale, dove, a parte qualche esibizione di qualche “testa” di troppo (sarebbe stato più efficace intravederle più di sfuggita, piuttosto che esporle in bella vista “su un piatto d'argento”, soluzione troppo grottesca che stona col realismo esasperato condotto con rigore quasi sino alla fine), la cruda e cronachistica nera realtà viene a galla. Anche se ormai è troppo tardi....
Cinema a bassissimo costo, fatto in casa (letteralmente), ma con desiderio di farsi apprezzare per capacità di raccontare rimanendo coerenti alle possibilità ed ai mezzi di cui si dispone, senza strafare, ma rimanendo lucidi e concreti; un film che mi ha segnalato saggiamente l'amica Maghella, una tra le cinefile più ferrate e preparate in questo sito, soprattutto quando si parla di horror.
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