Regia di Mark Ruffalo vedi scheda film
Questo debutto registico di Mark Ruffalo è un film graffiante e magnetico, coraggiosamente sopra le righe, come si addice ad un’opera esteticamente rabbiosa e selvaggiamente acerba. Nella storia del disc jockey Dean O’Dwyer, in arte Delicious, costretto su una sedia a rotelle, ma dotato di straordinarie facoltà taumaturgiche, l’elemento miracolistico viene passato sotto la mano ruvida del rock, in un mondo underground popolato di creature materialmente derelitte ed individui artisticamente assatanati. Una coralità all’interno della quale il protagonista arriva e fungere da spartiacque, trasformando la disperazione di massa dei senzatetto nella collettiva celebrazione di un’inattesa speranza. Intorno a lui, l’ambiente suburbano diventa davvero il limite del mondo, in cui il dito divino giunge a sfiorare l’estremo lembo di un’umanità sfigurata, e quindi quasi irriconoscibile come tale. Quella soglia tra la terra e il cielo è però sporca del fango della malattia, del crimine, della pazzia, ed anche dei mali come l’egoismo e l’avidità: ed è fra i detriti di tante miserie fisiche e morali che il dono viene contaminato dal denaro e diventa merce di scambio, strumento di successo, veicolo di privilegio. Delicious ha tanto sofferto ed ora vuole essere pagato: è così che la luce della fede rimane oscurata da quella artificiale dei riflettori, dal richiamo dell’oscurità in cui inseguire un sogno privato e proibito.
Quando Dean viene chiamato a far parte di una band, per esibirsi nei suoi prodigi sul palco durante i concerti, sacro e profano diventano gli ingredienti di un composto psicotropo, in cui perdizione e salvezza si confondono nei venefici effluvi del fanatismo. Sotto le mani di Delicious, la gente guarisce, urla e sviene, restando posseduta da uno spettacolo che la strappa alla realtà per rapirla dentro una catarsi allucinata. Il senso della vita impazzisce, in quell’esplosione di irragionevolezza che spezza le catene del dolore nel frivolo contesto di uno show. La stessa storia sembra perdere la testa, andando incontro ad un finale paradossale, in una corsa solo momentaneamente interrotta dal trauma di una morte, dalle riflessioni giuridiche, dai ripensamenti della coscienza. Inutile cercare la coerenza, l’armonia, la verosimiglianza in un racconto che è intriso della droga dei sogni sovrumani, dai poteri soprannaturali ai deliri creativi: sono loro i protagonisti di una favola psichedelica che parla di un mondo rovesciato, in cui a vincere sono le illusioni puerili e sbagliate, le punizioni sono sospese ed i premi sono a portata di mano. Sympathy for Delicious è una ballata in versi sciolti che ripropone, in una versione deteriorata dallo scorrere del tempo, certe utopie degli anni settanta, incentrate su un individualismo megalomane che si nutriva esclusivamente di visioni rivoluzionarie completamente slegate dalla realtà storica. Quest’opera si lascia umilmente deformare dalla sua stessa sostanza provocatoria, che ne spezza il ritmo e la trasforma in una dissonante rassegna di cose impossibili in cui è troppo bello e facile credere.
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