Regia di Juan Diego Solanas vedi scheda film
In un universo parallelo esiste un pianeta in cui due diversi mondi sono in contrapposizione “fisica”: in ognuno di essi, guardando il cielo, si può guardare l’altro mondo capovolto. Il tutto è disciplinato da tre regole che riguardano la gravità, con cui i protagonisti Eden e Adam, innamorati per quanto abitanti dei due mondi contrapposti, devono fare i conti…
Parole, musica e arrangiamento di Juan Solanas, per questo “Upside down”, farfugliante gioco ad incastri che parte da un’idea come al solito in questi casi molto originale, costruendo una dimensione stranamente non distopica (vista la tendenza degli ultimi tempi), ma semplicemente inventata, fantastica, ipotetica, in una parola fantascientifica. La visione è sconsigliata a chi soffre di vertigini: la contrapposizione dei due mondi, fatta di giochi di prospettive, contrappesi, immagini speculari (col montaggio complicatissimo che ne esalta la dicotomia) è spesso e volentieri cavalcata perniciosamente, portando a situazioni visive estreme, che lasciano straniti. La messa in scena difatti asseconda le esigenze della sceneggiatura, aiutandosi vicendevolmente con essa ed esaltando la dimensione sensazionalistica del film.
L’impressione però, allo scorrere dei titoli di coda, è che aldilà dell’inequivocabile originalità del soggetto, la sceneggiatura sia poca cosa, a causa di snodi narrativi banali (i poco convinti vuoti di memoria di Eden, l’incontro casuale via TV). Le luci di Pierre Gille sono peculiari, improntate su monocromatismi eccessivi, quasi si trattasse di uno spot per profumi, ma che certamente aumentano la bellezza estetica dell’operazione; altra peculiarità della fotografia sono le numerose e sconsiderate inquadrature di fonti luminose primarie, che abbagliano letteralmente lo spettatore (manco l’operatore fosse sfigato e si ritrovasse a riprendere sempre scene controsole).
Tra le poche cose positive, il fatto che il film non abbia pretese moralistiche o sia pervaso di velleità di falso-rivoluzionarismo di maniera. Complessivamente un prodotto mediocre, un plot sfruttato male, un film bypassabile senza remore (anche se guardarlo non è certo un’eresia).
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