Regia di Juan Diego Solanas vedi scheda film
Contare le stelle è impossibile: l’orizzonte dello sguardo, in Upside Down di Solanas, è una costellazione metropolitana. Una città parallela e rovesciata, diversa per ceto degli abitanti e per corrente gravitazionale che li spinge su pavimenti opposti. Come in ogni sistema dicotomico, il mondo di sotto è disgraziato e improduttivo, mentre quello di sopra è imperioso e tecnologicamente avanzato. Adam ed Eden sono poco più che bambini, quando si osservano a testa in giù per la prima volta: da una cima all’altra del monte che avvicina i due universi. Il loro amore è reso possibile da una corda, con cui Jim Sturgess tira a sé Kirsten Dunst per baciarla in un anfratto roccioso: una culla di pietra che le impedisce di volar via come un palloncino. Quando lo spago viene reciso tutto il fascino del film precipita rovinosamente insieme alla ragazza, che perde la memoria battendo la testa. Lui non la dimentica, e si costruisce un’imbottitura di magneti pur di camminarle accanto. Ma Upside Down ha il passo ballerino di chi non sa su quale superficie avanzare. Danza splendidamente tra i tavoli capovolti del diroccato e sontuoso Caffè dei Due Mondi, ma inciampa in una rivoluzione proletaria descritta con sciatteria. La forza d’attrazione esercitata dall’idea è affievolita da una scrittura apatica. E se il romanticismo avverso alla fisica è riscaldato da una luce antica e incantevole, l’ombra dell’occasione sprecata è il clima permanente.
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