Regia di Neri Parenti vedi scheda film
Più che un panettone è una televendita che gira in loop, un centro commerciale che brilla di luce impropria, perché falsa come questa montagna d'estate resa glaciale in digitale. Venghino, siori venghino: c'è il computer, il telefonino, l'utilitaria e chissà cos'altro. Si resta in mutande, ancorché in versione glamour. È la civiltà dei consumi, bellezza. Per Pasolini, mille anni fa, era «capace di togliere realtà ai vari modi di essere uomini». Adesso è iperrealtà, è caricatura. E persino le Vacanze di Natale del cinema hanno perso la speranza. C'è aria mesta, altro che festa. Terminati i sogni, restano le rate da pagare. Nel campionario di maschere e mostri della commedia si agita un'italietta cui è rimasto il vip watching. Perché l'aspirazione del popolino non è manco più vivere da vip, ma vedere da vicino come vivono e spendono quelli. La promessa dei miracoli è finita, si prega ripassare tra un secolo. La scena è di nuovo Cortina, come nel 1983, quando tutto è cominciato e di cui resta qualche vecchia hit nella colonna sonora, anche se al pianobar non c'è più nemmeno Jerry Calà. Protagoniste sono due coppie di parenti serpenti, assortite in un folle miscuglio di accenti padani, emiliani, borgatari. C'è quella arricchita coi telequiz e l'altra che si dice fortunata perché finisce per ingraziarsi quelli che ha visto nei talent. È questo pubblico da rotocalco, fermo alla peggior Tv generalista, cui strizzano l’occhio i Vanzina sceneggiatori. A De Sica restano le briciole, poche scene per le smorfie di repertorio, con una dedica forse a papà Vittorio. Il riscatto del Meridione passa per Dario Bandiera, siciliano cui non resiste nemmeno la moglie siberiana del magnate russo. «Se mi becca, mi fa le chiappe come Scilla e Cariddi». Intorno è tutto un vociare in dialetti, urletti, moine, da dove emerge giusto un Ivano Marescotti politicante maneggione, gran caratterista. Poche parolacce. Battute da seconda serata: «La tua giacca a vento è da astronauta, mi fa Gagarin». Kandinsky scambiato per scambisti. E riferimenti alla modernità che alimenteranno la nostalgia tra vent’anni: «Se scopro chi ha inventato Facebook, gli taggo le palle!».
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