Regia di Brad Bird vedi scheda film
Lo 007 d’oltreoceano conosciuto col nome di Ethan Hunt (T.Cruise), stavolta, è solo (ma in buonissima compagnia vero Paula Patton? Anil Kapoor confermerà) contro il cattivone di turno (un villain, a dire il vero, un po’ sbiadito, ma a tutto vantaggio dell’ego di Cruise, smisurato almeno quanto l’ambìto - per una volta - successo di pubblico), nel senso che l’attivazione del “Protocollo Fantasma” ha reso, sulla carta, l’adempimento della missione tremendamente impegnativo (diciamo più impossible che mai)… sulla carta, per l’appunto. Perchè l’unica cosa di davvero “impossible” è, tanto per cominciare, il ritmo martellante, indiavolato, implacabile che viene conferito alla struttura del racconto (all’obiettivo di essa non far arenare sulle secche del patetismo e della povertà di idee narrative).
Devo dire che Mission Impossible – Protocollo fantasma è un bel gioiellino. Quando si ferma si affloscia, ma, fintanto che corre, la tensione sfianca e l’adrenalina scorre a fiumi.
Medio tempore, pezzi riciclati di uno straccio di frusta trama improvvisata si perdono per strada, ma così lasciando intravedere la reale matrice della macchina da soldi: Tom Cruise con più grinta e pepe nel c*** che mai!
Un Cruise che, alla soglia dei fatidici 50, è “ritinteggiato” che fa quasi tenerezza, ma poi sgambetta come sempre a più non posso - ma chissà se almeno stavolta ha accettato l’aiuto di qualche stunt (tranne che per la scalata a Dubai a quanto pare; un pallino già dal II episodio) - ed allora si chiude più di un occhio. Perché il IV capitolo del franchising vuole dire altro, platealmente.
Elargire panem et circenses in abbondanza è lo scopo (una crapula di effetti speciali dinnanzi ai quali la storia conta poco e i dialoghi, per lo più suggerimenti allo spettatore per chiarire didascalicamente qualche passaggio narrativo, ancora meno: barabbovich); sfiancare la massa con la messa a punto di uno spettacolo visivo e scenico luculliano ed incontenibile, capace di eclissare il prestigio degli intrighi passati ed alimentare, al contempo, l’attesa per quelli futuri.
Dunque, senza andare troppo per il sottile, l’ultimo episodio (finora) sfronda il superfluo e si immola sull’altare della “ristorazione” di largo consumo, da take away, convinto che il proprio pubblico di riferimento saprà apprezzare (e così - non senza un pizzico di sorpresa - è accaduto) e sarà ben felice, in futuro, di tornare ad approvvigionarsi da quella medesima fonte di mera (non si chieda di più) evasione.
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