Regia di Al Pacino vedi scheda film
L’opera terza di Al Pacino è un non-film: è teatro filmato, documentario e finzione, performance e ossessione. Come già per Riccardo III, l’istrione si muove, frenetico, su e giù dal palco: legato da decenni al personaggio di Erode, di cui ha più volte vestito i panni, Pacino lo riprende nel 2006, quando allestisce la sua versione della pièce di Oscar Wilde, scegliendo un’allora sconosciuta (e folgorante) Jessica Chastain per il ruolo della vergine tentatrice. Parallelamente, una troupe filma gli attori in azione per ricavarne una versione cinematografica (all’epoca solo ipotetica, poi distribuita nel 2013 come Salomé); registra, però, anche le prove, il backstage, le ricerche di Pacino sull’autore e sull’uomo Wilde. Da Londra a Dublino, con interviste a Gore Vidal, Tom Stoppard, Bono Vox (!) e altri, l’ipercinetico Al visita i luoghi della vita del poeta irlandese e ne ricostruisce il processo e la prigionia dopo la condanna per omosessualità, impastando la sensualità eretica della pièce con l’esistenza anticonformista dell’autore. Ai già numerosi strati di un film che non si preoccupa di vestirsi con una forma o un genere, va aggiunta la personalità divorante del suo regista/attore/narratore: Wilde Salomé è, prima di tutto, un Essere Al Pacino che ci catapulta nel cervello del mattatore, costantemente nel ruolo di se stesso. Ovvero di corpo attoriale che riflette sul suo status, che mette in discussione un’idea di cinema, che forza i confini del suo stare sullo schermo.
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