Regia di Al Pacino vedi scheda film
Una selvaggia Salomè per Wilde
Ancora una volta, sono il primo a recensire un capolavoro "veneziano". E' un gran fregio, cimentarsi con la "prima" opinione di quest'opera di Pacino.
Al Pacino, si “corrode” nel suo Erode, re folle del nostro “folleggiarci” nella vita, inguainarcene per scioglierci in torpori dai brusii melodici e poi screpolarci, a pieno volto, macerati nel dubbio che tutto sia stato un torpido sogno, una carezza “scolpita” nell'anima per incenerirla con troppe fiamme, arderla nel suo urlo e poi a gemerci, dentro sibilline profondità che sono il boato imperioso d'emozioni che abbiam patito, fra morigerate o gridate estasi e dolori dalle lacerazioni repentine a scheggiarla. Emozioni d'una vita e dei suoi indistricabili percorsi, di crepuscolari labirinti tra foschie cristalline o pallide Luci, a volte, o avvolte dei loro raggi, a concupirla, come “una bambinaccia sanguinaria”, un mostro d'irresistibile sessualità ad “appassirci” in un tonante desiderio che la invoca, che vorrebbe ballarle, avvinghiato in una pelle lattea da smorirci nel suo sangue
Fascinazione ossessiva per l'opera di Wilde, icona dei marginali, nelle schiette parole, d'amarezza stinta nel sorriso, di Bono, leader degli U2, “concittadino” del genio di Dublino.
Pacino, si modula in un viaggio alle sue origini, e talora se ne modella “incendiandosi” nel suo corpo, assumendone una sembianza che, appunto, ne “pacinizza” i lineamenti, li terge in una simbiosi fra due anime che coincidono e le cui “coincidenze” l'han ammaliato per congiungersi. Per una voce, quasi dall'oltretomba, che echeggia dal suo remoto dolore, ancor attuale per chi è un “diverso” in un'immobile società ipocrita che osteggia le spregiudicate pulsioni anarchiche, il libero pensiero, le palpebre tremolanti di chi respira nei suoi desideri e fa sì che ne assaporino anche la dolenza illusoria, la fuga infantile, il prodigioso eloquio che si sprigiona anche da un'angusta prigione che ne rinchiuderà il fremito, lo castigherà per il “deliquio” sadico della deplorevole invidia di Bosel, uno che “mi ha rovinato la vita, come potrei non amarlo?”.
Wilde, anima libera uccisa perché temuta, incastrato per sciocche e meschine illazioni sulle sue “perversioni” sessuali. E le “sue” Salomè, negli occhi e nello sguardo di Pacino, diventan le urla turgide di chi non s'intimoriva, anzi d'audacia si rinvigoriva di fronte ai corpi, in un Mondo che sol “occhieggia” appunto ma spesso malignamente t'adocchia.
Wilde, arrestato per un'infamia, e la discesa negli inferi del suo “termine della notte”. Un'anima gaia e spensierata che prima piange, poi scocca in impeti d'orgoglio, nella vanità della sua mente, poi sbiadirà, uscirà dal carcere ma non rientrerà in se stesso, fiocamente disilluso fino a smarrirsi nelle ombre delle sue decadenze, fantasma invisibile oscurato dall'ignoranza.
Pacino, ah grande Al(fredo), sfoggi un look destriero da indomabile combattivo, qui a Venezia, sul red carpet ove sfili con la tua giovanissima compagna, Lucila Solà, stangona d'elegante“porcellana” quasinaif. Con fotografi in giubilo ad abbellirti, tu, Al che t'”imbelletti” solo nella passione divorante della recitazione, e declami fra Cinema & Teatro, imprimendoci in te.
Scegli un'attrice magnifica, Jessica Chastain, capolavoro fulvo d'immacolato “candore”, ninfetta tentatrice d'ambigua malizia, a cui, infuocato, mi struggerò per baciarti il seno, per letiziarci in morbidi amplessi dal profumo rosso e d'”arcana” libagione. No, non ti resisterei neppur in un attimo fatale di ponderata ascesi.
E' stato proprio Al a scoprirti, perché, come ammette lui stesso nelle interviste, voleva “scoprirti” prima degli altri, forse anche spogliarti, lussurioso e affamato come per “La danza dei sette veli”, prima che già, ora sì, t'ergessi a maliardissima star a cui mi prostrerei per goderti.
Wilde Salome, opera smisurata di geniali intuizioni che s'intreccia in sé, “emigra” nell'anima di Wilde, incantatorio omaggio quasi di leggiadro misticismo.
In un deserto, che tu Al scambi “freudianamente” per dessert, pronunci, ieratico, le ultime frasi, “a lapidarci”, di Wilde. E poi, ripartendo dall'inizio, sfochi malinconico nelle “tenebre” del tuo e nostro amatissimo Oscar, e t'imporpori nel suo laconico addio, (s)fuggendo anche tu per le campagne londinesi di verdeggiante pace. Qui, Oscar, sospira ancora tra le foglie, del vento e del Tempo. Immortale.
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