Regia di Malgorzata Szumowska vedi scheda film
Già col balzo dall’incipit orgasmatico color grigioblu-Prometheus alla prima vera scena di cucina familiare color lascito-di-piccione, si capisce subito che la regista non ha avuto le idee molto chiare. Tutta addosso alla Binoche nei primi dieci minuti, e poi comunque e sempre addosso a qualunque cosa, un film che avesse voluto rimanere “distaccato” non si può dire, a questo punto, un film riuscito. D’altra parte…diamo pure la colpa al comune senso del pudore (ma non è targato Zentropa codesto film?), ma un film sulle puttane dove non si veda una figa è come un documentario sulle iene senza la carogna. E difatti, bestie a parte, i denti bianchi e splìndenti della Binochè, il suo sorriso alla Yellow Submarine non riescono ad entrare nella problematica né dalla porta, né dalla finestra. Casomai entra giusto nel suo frigo sgangherato, simbolo fetish del disordine esistenziale, magra consolazione tanto dei bassi pruriti quanto delle alte aspirazioni sociologiche. Sia chiaro: non è la Binoche inadatta al film, casomai è il contrario, prova ne sia la disgustosa scena dello sputacchiamento di trenette in bianco nel gaudente pranzetto a due tra lei e una delle due (anonimissime entrambe) ragazze-squillo (si può dire “squillo”, o la Fornero ci si incazza?), dove il cattivo gusto raggiunge un vertice, anzi un abisso pericoloso. A nulla servono né la settima di Beethoven, né la (buona) trovata dell’allucinazione pre-finale del pranzo in compagnia dei signori puttanieri in gioviale simbiosi con la società perbene, né i sofisticati titoli di coda che chiudono, per fortuna, dopo un tempo limitato e sopportabile, un film da non dover ricordare.
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