Regia di Oren Moverman vedi scheda film
Rampart è un reparto di polizia losangeliano, già teatro di conflitti tra i metodi spicci e violenti di molti degli appartenenti alle forze di polizia che lo compongono, e l'altrettanto suscettibile sfera sociale dei diseredati, dei vinti, dei turbati: di tutti coloro, insomma, la cui scarsa tendenza alla conciliazione e al dialogo, al compromesso e alla ragione, ne hanno trasformato in perdenti e in reietti, attorno ad una vastità che è la sterminata “valley” losangeliana: una immensità tutt'altro che sovrastata dagli altissimi blocchi di cemento a cui ci ha ormai abituato molto cinema poliziesco a stelle e strisce: qui infatti siamo nella sterminata Los Angeles senza barriere, una valle ove c'è spazio per ogni agglomerato e dove le abitazioni non hanno ragione per sovrastare i cieli.
In tutto questo spazio aperto, la penna abile e coinvolgente del gran giallista e narratore James Ellroy, si concentra sulla figura contraddittoria e combattuta dell'agente Dave Browm.
Siamo alla fine dello scorso millennio e l'agente che ci viene presentato, greve e manesco, finisce (nuovamente) sotto inchiesta dopo che una telecamera lo inquadra mentre picchia a sangue un cittadino, reo di averlo tamponato e di aver tentato la fuga.
Per questo tra l'opinione pubblica sdegnata da continui atteggiamenti esageratamente ostili delle forze dell'ordine col ceto più povero, si infiamma un caso, destinato a far ancora più scalpore in quanto l'agente risultato platealmente colpevole di percosse, è già indagato per un omicidio colposo di un presunto autore di una rapina, poi risultato estraneo alla vicenda.
Scopriamo intanto il bizzarro mondo familiare dell'agente Dave: due ex compagne che vivono sotto lo stesso tetto con entrambe una figlia avuta dal poliziotto, che cercano di cacciare il loro ex compagno, il quale a sua volta non le vuole mollare per andare incontro ad un suo irrefrenabile istinto di conservazione dei legami di parentela.
Inoltre Dave è schiavo dell'alcol, razzista e molto propenso ad utilizzare ogni mezzo per condurre in posto le sue strampalate indagini, omettendo di attenersi ad ogni più condivisa regola di comportamento imposta dal suo corpo di polizia.
Rampart, filmato con efficacia e un ottimo senso del ritmo da quel Oren Moverman che ebbe pochi anni orsono la felice intuizione di affidare nuovamente all'ottimo Woody Harrelson un ruolo da protagonista nel suo riuscito “The messenger – Oltre le tegole”, pure questo in coppia con Ben Foster (qui nei panni di uno spacciatore claudicante che ha visto troppo, e pure figurante tra i produttori della pellicola), è una discesa irrefrenabile verso gli inferi di un personaggio perverso ed ostile che cerca di rifugiarsi e proteggersi dalla spregevolezza del suo esistere, tra i capisaldi di una famiglia che in realtà da tempo lo ha abbandonato sfiduciata ed esausta, ma alla quale egli si aggrappa ancora senza arrendersi.
E se il già citato e superbo Woody Harrelson - gran fisico asciutto e muscoloso su un volto potente, spigoloso e maligno, ma anche fragile e perennemente in cerca di sostegno e condivisione tra un mondo che lo rifiuta o al massimo lo usa - ci stupisce in una interpretazione finalmente da protagonista assoluto che non esageriamo nel definire “da Oscar”, l'ottimo thriller si distingue, oltre che per la solida scrittura e la sinergica direzione già accennate, per un cast faraonico e di grande carisma che lascia stupefatti: Sigourney Weaver è una tosta procuratrice distrettuale che cerca di trovare un pur flebile compromesso, Robin Wright un'avvocato-amante avvenente ma dalle trame indecifrabili, Cynthia Nixon e Anne Heche due mogli alleate e risolute nel cercare di cacciar fuori un marito che torna sempre indietro come un boomerang recidivo, il vecchio leggendario Ned Beatty in quelli di un poliziotto in pensione che sa troppo e trama loschi disegni fingendosi amico e protettore: e ancora il già citato Ben Foster, Steve Buscemi, l'ottima giovanissima Brie Lar,son nei panni della figlia maggiore e ribelle del poliziotto devastato, e un risoluto Ice Cube che completano e popolano una serrata e coinvolgente corsa verso una autodistruzione annunciata, in un mondo sporco e corrotto che sceglie le sue pedine sacrificali tra i soggetti emotivamente, caratterialmente ed economicamente più vulnerabili ed esposti.
Un ottimo film a cui è stato fatto saltare vergognosamente il passaggio in sala per ragioni che non conosciamo e nemmeno vogliamo sapere, già sufficientemente amareggiati dalla pochezza qualitativa che attualmente caratterizza ormai da settimane la già decimata programmazione estiva, periodo che invece potrebbe più saggiamente essere utilizzato per recuperare almeno simili gioielli pari al presente, scandalosamente scartati dal grande schermo come un qualunque banale prodotto di genere da vedere e dimenticare.
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