Regia di Oren Moverman vedi scheda film
Ci sono molte similitudini tra il Vic Mackey di The Shield e questo Dave Brown creato dalla penna di James Ellroy, veterano del Vietnam come il Travis Bickle di Taxi Driver e ora poliziotto del Rampart (la divisione più controversa del Los Angeles Police Department di fine anni 90) sul modello di Callaghan. Vic e Dave vivono a Los Angeles, mantengono rapporti disfunzionali con (ex) mogli e figlie, svolgono la loro professione scavalcando gli steccati della legalità («legalità è solo una parola») e attirando le ire dei rispettivi dipartimenti. Ma in Rampart il ritmo si abbassa, l’adrenalina sedimenta e lascia il posto a un ripiegamento sull’interiorità del personaggio che ne apre le ferite, senza per questo assolverlo. Woody Harrelson torna natural born killer in un paesaggio urbano tentacolare, tra stanze di motel da quattro soldi, bar fatiscenti in cui rimorchiare qualche alcolizzata e locali notturni con vicoli sul retro da tappezzare di vomito. Ma stavolta, assieme al morto, ci scappa un’indagine più accurata del solito. E le porte degli inferi si spalancano, accoglienti. «Vuoi prendertela con qualcuno? Prenditela con Edgar J. Hoover. Lui era razzista, io faccio il mio dovere»: sfuggente a banali caratterizzazioni di matrice razzista o politica, Brown è soltanto un padre e un poliziotto che ha provato, a suo modo, a fare la cosa giusta. Fallendo miseramente. Rampart è un film sulla perdizione, popolato da fantasmi femminili (fantastiche Heche, Nixon e Wright) come proiezioni di desideri che è troppo tardi per realizzare.
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