Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film
Montréal, 2011. Antoine - dice la voce fuori campo - è un uomo che ha ogni ragione per essere felice. E la lucidità per esserne consapevole. Dj di successo, è amato dalla donna che ama, è padre di figlie meravigliose. Sua moglie, che l’ha perduto per quest’amore bigger than life, lo guarda contento, ne spera il ritorno. Parigi, 1969. Dice la voce fuori campo che Laurent, affetto da sindrome di?Down, sembra non aver nulla per essere felice. Nemmeno la coscienza per accorgersene. Sua madre, sola e donchisciottesca, lo cura, lo educa, lotta per farlo integrare. Poi, un giorno, il fanciullo incontra Véronique, bimba come lui, trisomica come lui. E non vuole staccarsene. Sono queste le linee che Vallée fa tendere l’una verso l’altra, giocando di rime e ritorni, sciorinando analogie e simbolismi ricorrenti, manipolando il sapere del pubblico con i modi del thrilling, rimandando lo svelamento del legame che unisce quei mondi. Il risultato è una storia di spettri, di amore cocciuto, oltre ogni tempo e ogni luogo, che procede con il passo di un noioso gioco di prestigio, di uno strappalacrime programmatico. Per raccontare storie così, fuori dalla misura dell’uomo, ci vogliono forme fragili e impetuose, forme del dubbio e dell’irruenza, gli eccessi kitsch di L’albero della vita di Aronofksky, il mélo sghembo di Un’altra giovinezza di Coppola, la filosofia sofferta dell’ultimo Malick. Qui c’è solo matematica dell’emozione. La sicumera sentenziosa del prodotto midcult.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta