Regia di Ami Canaan Mann vedi scheda film
Immagini cupe, dense di odori, soffocano in Le paludi della morte, opera seconda di Ami Canaan Mann. Che, a 10 anni dall’esordio Morning, si confronta con il genere abitualmente frequentato dal padre Michael (qui produttore): il poliziesco. Gli ingredienti sono canonici: una coppia di detective da buddy movie, un omicida seriale, una ragazzina che vive con la madre prostituta, le pubbliche indagini, i risvolti privati a fare da controcanto. E la palude verso cui tutto tende, per sprofondare nell’abisso. È lo stile a essere eccentrico e contraddittorio: interessata alla materia umana, la Mann non bada eccessivamente all’investigazione, ma si concentra sulle relazioni tra i personaggi, preferendo al lineare sviluppo narrativo derive di dettagli e digressioni ambientali. Perde in tensione, acquista in atmosfera: paradossalmente, è la descrizione del paesaggio a suggerire luci e ombre dell’umanità (putrefatta, irredenta) messa in scena, non le linee di dialogo che i personaggi, corpi opachi e stilizzati, sputano sentenziosamente, non l’andamento della narrazione, risolto in un conciliatorio, posticcio, colpo di scena finale (che attesta la possibilità di un cristianesimo sano oltre la patina corrotta del puritanesimo texano). E se Jeffrey Dean Morgan, Chloë Grace Moretz e Jessica Chastain (persino Sheryl Lee) sono in grado di andare oltre i propri schematici ruoli, Sam Worthington vi aderisce con l’abituale ingessata attitudine.
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