Regia di Sebastián Borensztein vedi scheda film
La vita ha bisogno di parole e proprio le parole – dette, scritte, tradotte – segneranno il ritorno alla vita dei due personaggi principali, che si erano incontrati per caso. Film premiato alla Festa del cinema di Roma del 2011 (dalla critica e anche dal pubblico).
Ci sono poche probabilità che, in seguito a un incidente, alcune mucche russe precipitino da un aereo piovendo su un’imbarcazione che placidamente sta navigando lungo un ampio fiume cinese, contornato da belle montagne.
Eppure, non solo questo bizzarro evento si verificò, ma travolse, insieme alla barca, l’amore dei due fidanzati che la occupavano, uccidendo la donna.
Questo è quanto accadde davvero ed è narrato all’inizio di Un cuento Chino, del regista Sebastián Borensztein, orribilmente tradotto in Italiano in Che cosa piove dal cielo?
Immediatamente dopo la rappresentazione dello sprofondamento della barca, col suo carico di sogni, ci troviamo di fronte a una scena capovolta in cui si materializza, alla lettera, il capovolgimento delle aspettative del cinese sfortunato, attraverso il suo riemergere a testa in giù nella quotidianità, che a poco a poco si ricolloca secondo le consuete convenzioni del sotto e del sopra.
Il linguaggio metaforico, come avviene in molta letteratura fantastica, si è inverato presentandoci l'Argentina, per l’appunto gli “antipodi”, un mondo altro, rispetto alla Cina.
Siamo ora a Buenos Ayres, dove il giovane Jun (Ignacio Huang) vorrebbe riprendere a vivere, cercando di incontrare l’unica persona della famiglia che ancora gli è rimasta al mondo, lo zio, il cui indirizzo argentino egli porta tatuato sul braccio a caratteri latini.
Il modo del suo approdo è alquanto brusco: un taxista infuriato lo scaraventa fuori dalla vettura senza troppi complimenti, davanti al negozio di un ferramenta, Roberto de Cesare, bizzarro signore di mezza età, che si prenderà cura di lui.
Roberto (splendido Ricardo Darin), è il personaggio più intrigante del film. Vive una vita solitaria e senza affetti, nel culto di una madre che non ha mai conosciuto – è morta dopo averlo partorito – e nel ricordo di un padre pacifista, oriundo italiano (e abbonato negli anni ’80 all’Unità!).
Lo caratterizza un comportamento di chiusura diffidente verso il prossimo: teme Mari (Muriel Santa Ana), la donna che lo ama; odia i clienti fatui e superficiali che frequentano la sua bottega, nonché i fornitori che gli inviano quantità approssimative - per difetto - di merci: immancabilmente, il conto dei chiodi, meticoloso e pignolo, non torna!
E’, inoltre, collezionista di notizie buffe e strane, che ritaglia accuratamente dai giornali di tutto il mondo, conservandole in un bel dossier, quasi per dimostrare a se stesso che la vita è un insieme senza alcun senso di fatti assurdi, che sembrano quasi ridicoli, ma che ci dovrebbero indurre a diffidare da qualsiasi forma di coinvolgimento.
Eppure sarà proprio lui a occuparsi di Jun, facendosi davvero coinvolgere, alla ricerca di quel famoso zio, in una serie di avventure un po’ buffe e un po’ drammatiche, grazie alle quali le sue incrollabili certezze sull’assurdità della vita paiono sgretolarsi, poiché sempre più si avvicinerà al giovane, che, da buon orientale, sembra convinto, invece, che il caso abbia una sua logica, capace di collegare quelle che a noi tutti paiono assurde e improbabili coincidenze: in fondo anche le mucche hanno un loro perchè, che presto capirà anche lui, scontroso e solitario ferramenta!
Un film, insolito, una storia originale, che mantiene ben viva l’attenzione fino alla sua sorprendente conclusione.
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