Regia di Massimo Martelli vedi scheda film
Metaforicamente parlando, bastonerei coloro che traggono brutti film da opere letterarie di valore e da libri che per chi li ha letti sono di culto. Un esempio del primo caso è la riduzione di I Viceré di De Roberto diretta qualche anno fa da Roberto Faenza. Il secondo caso è ben rappresentato da questo Bar Sport di Massimo Martelli, tratto dal gioiellino anni Settanta di Stefano Benni. D'accordo, libri e film sono storie diverse, la mia è una reazione istintiva, da lettore. In ogni caso, Bar Sport, il film, è proprio brutto, oltre che deludente. È vero, c'è la Luisona, c'è il tènnico e c'è pure il grande Piva, ma l'atmosfera è da happening televisivo, più che da saga paesana (no, non ho detto sagra, ma saga, saga, saga...) che si costruisce giorno dopo giorno, piccolo episodio dopo piccolo episodio, sul libro pagina dopo pagina. La verità, secondo me, è che Bar Sport è uno di quei libri la cui trasposizione cinematografica è semplicemente impossibile. Meglio è, per tutti, immaginarsi il baretto del proprio paese o del proprio rione, con il relativo barista, il relativo tènnico, il playboy, il mito sportivo, il cinno, il biliardino e i vecchi flipper (oggi probabilmente sostituiti da qualche videopoker). E la Luisona, versione rustica e strapaesana delle madeleines proustiane, non andava mostrata, così come non andava mangiata: il suo fascino continua ad essere nell'immaginarsela là, immangiabile ed imperturbabile in vetrina.
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