Regia di Giuseppe Piccioni vedi scheda film
Quanti ce n’è di film sulla scuola e sui suoi abitanti, come questo di Giuseppe Piccioni? Tanti, ma sembra che, nel nostro paese, non ce ne sia mai abbastanza. Melius abundare.Perché altrove, vedi nel Regno Unito, in Francia, in Germania, i racconti della e sulla scuola vanno oltre i tempi di Giamburrasca e Pinocchio. Da noi sembra che si abbia sempre il solito “consueto” scenario. Eppure il regista di Cuori al verde, Fuori dal mondo e Luce dei miei occhi, ha avuto come romanzo, da cui ha tratto il suo film, il bel libro dello scrittore, insegnante e giornalista Marco Lodoli.
Il film è ambientato in una scuola romana, dove le vite di due docenti, completamente diversi fra loro, si intrecciano: quella di un professore di storia dell’arte, cinico e che ha ormai perso la passione per il suo lavoro, inseguito, fino all’inverosimile, da una sua vecchia studentessa, e quella di un giovane e belloccio (aggiungete che il suo cognome è Prezioso e che ad interpretarlo è Riccardo Scamarcio) supplente di lettere, che, a differenza di quell’altro suo collega, ce la mette tutta per “cercare di salvare una studentessa”, indisponente e ribelle. Accanto a questi, la solita preside, rigida, ma stranamente costretta a occuparsi di uno strano alunno dimenticato dalla madre.
Il film non aggiunge nulla, rispetto agli annali di cronaca nera, rosa e finanche bianca, sulla scuola: le difficoltà economiche in cui naviga, fra attrezzature rotte e mancanza di banchi e sedie, i tagli governativi, le riforme, i professori con stipendi da fame, ecc. Ma cosa c’è in più, rispetto a quanto già i bambini di scuola elementare imparano nel luogo che essi stessi frequentano per più ore, rispetto a quelle trascorse nelle loro case? Difficile comprenderlo. Dall’inizio alla fine, il film, che ha tutte le caratteristiche di un buon prodotto per il piccolo schermo, diverte, a tratti annoia, e alla fine lascia niente. Quale occasione importante, ma sprecata, per esempio, rispetto alle figure, che il film introduce soltanto, di genitori incapaci di essere i primi educatori dei loro figli, gli unici su cui ci si potrebbe appuntare qualcosa con i diversi colori della matita: fra errori grossolani e paure demandate ad altri uomini e donne che nella scuola devono assolvere a compiti che essenzialmente appartengono a mamma e papà? Perché sprecare così il cinismo messo in atto dal bravissimo prof/ Herlitzka? E’ una scuola stanca, quella di Piccioni, o sono i suoi protagonisti stanchi della scuola? Non è facile comprenderlo. Quando smetteremo di considerare i docenti-missionari, animati da tanta spirituale, ma evidentemente non solo…, intenzione di “salvezza” nei confronti di ragazzi e ragazze? Chi deve salvare cosa? La scuola non è quella che da sempre si intende nel nostro paese: il luogo in cui i figli si salvano (dalla famiglia che quasi non esiste più, dalla strada che non li ‘tiene’ più neanche per giocare, dal tempo libero e sprecato), per cui ad essa si demanda anche ciò che una volta era richiesto alle parrocchie, mediante gli oratori. E che a sua volta già aveva cominciato a non appartenere più ai genitori. La scuola non è il luogo del baby-setteraggio. La scuola, invece, dovrebbe essere molto di più: il luogo in cui allenarsi ad essere e ad esserci fra il rosso e il blu, che quotidianamente colorano le strade delle nostre vite. La letteratura, la matematica, la filosofia, la storia dell’arte, ecc., allora, devono servire ad offrire ai ragazzi gli elementi essenziali ed utili per comprendere che nel mondo quotidiano, del lavoro, dello studio, le variazioni cromatiche esistono e vanno riscoperte. Che il difficile compito di chi insegna, a casa, a scuola, in chiesa, ecc., è quello di mettersi in gioco. Ci si salva insieme, fra persone che non hanno l’arroganza e la pretesa della missione di salvezza. A tal proposito, nonostante nel film ci fossero tutte le premesse per farlo, Piccioni sceglie altro. E come ormai, in buona parte del cinema italiano, l’onnipresente ed eccellente Toni Servillo è un sicuro porto, perché la gente vada a cinema, adesso se n’è aggiunto un altro: il monologo di Roberto Herlitzka, che almeno in un paio di film in programmazione in sala, può essere garanzia per un pubblico, che ormai incomincia ad essere sazio e stanco delle mediocri prove di sceneggiatura e di recitazione che, nonostante i tanti film, molti registi e attori ci propinano.
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