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Av mevsimi

Regia di Yavuz Turgul vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Av mevsimi

di yume
8 stelle

Film notevole, suggestivo, inaspettato, da guardare nelle sue numerose stratificazioni, in quello che suggerisce più ancora che in quello che dice.

locandina

Av mevsimi (2010): locandina

Esistono dei vuoti.

Sono essi che ci proporranno nuove cose.

 Due versi di Yavuz Tanyeli come didascalia del misterioso quadro in copertina, primo fotogramma del film, due figure umane accovacciate e affrontate in un viottolo di campagna che si perde sul fondo, colori densi, materici, fortemente contornati; ai  lati masse gonfie d’ erba, in alto, tra cielo e terra, appoggiato ad un cuscino di nuvole, un braccio vestito di rosso mattone.

Una voce di donna:

Al farsi notte, la luna era sbucata. Non avevo neppure bisogno di guardare verso l’alto.

La luna si rifletteva sull’acqua.

Mi giungono suoni. Forse le foglie che cadono.Piccoli animali che vagano. Alcuni sopra di me.

Non sono spaventata, c’è tranquillità qui. Forse sarà quello. E se giacessi così per sempre?

Perché no? Purchè non mi facciano del male.

Lui mi ha portato qui.

Per prima cosa scomparvero i rumori, poi, percepii la foresta.

 La musica di Tamer Çiray parte sommessa, un accordo di piano, un violino entra sui toni gravi, la macchina si spinge avanti nell’acquitrino, passa tra alberi e rottami incagliati nella vegetazione, una cortina di vapore ristagna a pelo d’acqua.

Il ritmo si fa più veloce mentre la musica cresce, diventa concitata, nell’acqua si riflette un cielo abbagliante, la luce è acciaio fuso col verde cupo della foresta, il colore dominante è l’azzurro/argento, ghiaccio che si macchia di rosso sul titolo che esplode improvviso, Av mevsimi (Stagione di caccia), mentre spunta dal fango una mano contratta nel rigor mortis.

Potrebbe anche essere di un uomo, abbrutita com’è dall’acqua, ma reca tracce di smalto.

Gli esami diranno il resto, è la mano di Pamuk, ragazzina di 16 anni, il suo nome, “cotone”, la sua morbidezza, la giovinezza, nulla che abbia suscitato pietà, brani di vita riemergono, comporranno un mosaico di ordinaria follia, Pamuk sarà solo quella mano e quella voce, una breve sequenza finale un po’ didascalica in cui compare era meglio tagliarla.

Il cammino alla scoperta dell’omicida è sui generis, come tutto, in questo film del turco Yavuz Turgul, sceneggiatore e regista, un thriller anomalo, con suggestioni fantascientifiche mescolate a scenari iperrealistici al confine col western, è unterritorio di frontiera e di caccia, lo scenario è metropolitano ma  sembra che Wild West and Congress of Rough Riders of the World sia passato anche di là, la legge del clan, puzza e sporco da saloon, a volte, caccia all’uomo senza legge.

Il tutto è tenuto insieme da una figura di detective, Ferman (Sener Sen), più vicino a Maigret che ad un dipendente del Los Angeles Police Department,  è il Cacciatore (suo soprannome), quel che conta per lui è la prospettiva, come a caccia, punti la preda solo dal tuo punto di vista, e invece c’è anche il suo, e ti sfugge se non ne tieni conto.

 Se guardi le cose da una prospettiva vedi solo una parte - dice disegnando schemi col gesso alla lavagna-  Quello che vedi ti porterà ad una soluzione?O si frapporrà fra te e la soluzione? E’ un vicolo cieco.

 Questo è il succo della lezione che sta tenendo alle reclute-poliziotto quando arriva il nuovo caso da risolvere.

Braccio destro di Ferman è Idris (Cem Yilmaz), simpatico, folle, romantico e disperato, lasciato dalla moglie che lui ama alla follia, la segue, la spia,  lei  lo ama, ma non ne sopporta la gelosia.

Impetuoso e generoso, manda sempre tutto a carte quarant’otto e Ferman deve tamponare, ma sarà proprio lui ad indicare la strada, alla fine.

Ultimo del terzetto è Hasan, giovane studente di Antropologia, arrivato in polizia per un master.

Ha un buon matrimonio ad attenderlo, può non restare lì dove la puzza di morto ti si attacca addosso e non te la togli più, non sappiamo cosa deciderà, ha una faccia d’angelo che contrasta magnificamente col faccione macho di Idris, ma è sottile, coglie il lato ironico delle cose.

Ha alzato la mano per rispondere a Ferman che chiedeva:

Cosa fare?

Cambiamo posizione - ha detto

Come?

Usciamo dal vicolo ed entriamo da un’altra parte.

Da quel momento lo sgangherato trio è formato e parte lungo una strada fatta di depistaggi continui, e a sordidi interni di pusher e drogati, dove è d’obbligo lo scontro a fuoco, seguono modesti appartamenti da classe operaia o piccola borghesia, dove viene offerto il té ai tre poliziotti seduti un po’ impacciati sul divano per comunicare il luttuoso evento a padre e madre, che però non sembrano molto sconvolti dalla perdita dell’adorata figlia, soprattutto il padre, sempre pronto a massacrarla di botte insieme con i due fratelli maggiori.

C’è come un velo opaco disteso sulle cose, con abile operazione di smontaggio sarà sollevato, il lussuoso palazzo del potente locale ammanicato con i boss della politica, i gorilla e le fotocellule piazzate ovunque (tranne che in bagno, dove si può pisciare in pace, nota Idris),  il suo passo elastico, da uomo sicuro di sé, e le amicizie che contano non fermeranno Ferzan e i suoi.

Nella foresta di Selaml è stata trovata una mano.

In quella foresta, dopo tanto girare, il Cacciatore ci riporterà per catturare la sua preda.

Ci sono stati troppi morti che non valeva la pena di sacrificare, neppure per una causa pietosa.

Nulla va detto ancora che tolga suspence e sorpresa a questo film, notevole, suggestivo, inaspettato, da guardare nelle sue numerose stratificazioni, in quello che suggerisce più ancora che in quello che dice.

 

 

 

 www.paoladigiuseppe.it

 

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