Regia di Carlo Virzì vedi scheda film
I Pluto non sono mai stati “i più grandi di tutti”. Hanno conosciuto il sudore dei centri sociali, il calore di groupie sporadiche e l’abbraccio di folle giovani, esaltate e incoscienti. Come loro. Poi il mondo è andato altrove e li ha - faticosamente - inglobati. Oggi un giornalista giovane, esaltato, incosciente e paraplegico vuole riportarli in auge con un doc che ne ripercorra la storia, ignaro di quanto possa essere avara di aneddoti cult la loro breve avventura rock. Carlo Virzì, fratello di, sposa la passione musicale alla sua seconda regia. Sei anni dopo L’estate del mio primo bacio, l’autunno del loro sconforto: Roja dalle percussioni alle percosse emotive di un figlio che lo disprezza vistosamente; Pandolfi dal basso ai quartieri alti causa convivenza di convenienza; Cappanera in fabbrica da mattina a sera e Cocci ancora sul palco della sua tracotante ignoranza. Leggero nel tocco “indie alla livornese” ma impietoso nel radiografare la pochezza dei nostri eroi e idoli, Virzì sdogana in un sol colpo la flatulenza femminile e la banalità del successo. Sono solo canzonette demenziali come gli autori, che hanno battezzato la band col nome di un cane mentre i fan pensavano al Pianeta Nano. Il film mutua le ingenuità di chi non ha mai guardato il cielo con la farsa molto italiana del ritrovare la felicità con i piedi ancorati alla terra. E tutti vissero cafoni e contenti, come (gran) parte delle nostre “rockstar”.
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