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I più grandi di tutti

Regia di Carlo Virzì vedi scheda film

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La recensione su I più grandi di tutti

di M Valdemar
6 stelle

Bisogna aspettare il finale per vedere all’opera i Pluto, riunitisi per la prima volta sul palco dopo lo scioglimento di dieci anni addietro: rock grezzo, diretto, maleducato, sincero.
Marco Cocci (prima che attore, cantante e leader dei Malfunk, band nata sulla scia dell’esplosione grunge negli anni novanta), performer nato, si dimena e s’agita schizzato, sfacciato, con voce potente, a intonare - o meglio, (e)ruttare - versi non proprio oxfordiani dal cavallo di battaglia “Vado al mare” (l’inizio così recita: “Io d’estate mi rompo i coglioni, mi faccio i cazzi miei!” e ancora “Sputo in faccia al bagnino e gli fotto il pattino!”).
Sezione ritmica affidata al batterista - perennemente perplesso/spaesato - Alessandro Roja e a Claudia Pandolfi, sexy bassista dal fascino non tipicamente femminile, il cui atteggiamento richiama celebri icone dello strumento come Kim Gordon o D’arcy Wretzky.
Ad innalzare il muro del suono oltre i confini della buona creanza auditiva ci pensa la rocciosa chitarra ebbra d’iniezioni semidivine seminfernali di Dario Kappa Cappanera: d’obbligo lasciarsi trascinare verso il vortice generato dai suoi letali riff e assoli.
Del resto, egli è un “vero” musicista: suona negli Strana Officina, band heavy metal di Livorno, tra le poche italiane a poter competere con le ben più note realtà straniere.
Non è il solo “prestito”: i pezzi inediti dei Pluto sono stati eseguiti da un supergruppo nato per l’occasione e composto dal batterista, sempre degli Strana Officina, Rolando Cappanera, dallo stesso regista, Carlo Virzì, al basso, e dai già citati Dario Kappa Cappanera e Marco Cocci.
Le musiche, ovviamente, sono del regista, in questa veste già autore per diversi film del fratello Paolo, nonché membro del gruppo indie pop rock livornese Snaporaz.
Non è un caso, infatti, se la qualità principale della pellicola è l’evidente conoscenza del sottobosco musicale animato da realtà e personaggi poco conosciuti, lontani dall’immagine “maledetta” e “pericolosa” che il termine “rock” immediatamente fa associare alla massa.
Conoscenza dispiegata con sincerità, partecipazione, autoironia, volontà di affrontare e proporre qualcosa di realmente diverso dall’attuale produzione cinematografica: chi è che fa film sul rock oggi?
In un’epoca in cui le menti già non molto attive dei giovani sono infestate e deviate dai falsi miti costruiti (a tavolino e con la plastica più inquinante che ci sia) da talent vari, amici di, sanremi - ed occhi ed orecchie infettate da proposte “musicali” tutte uguali tutte inutili (complici le radio che gareggiano a chi fa più schifo nella scelta della canzoni da mandare in onda) -, questo film è una boccata d’ossigeno per l’anima e un massaggio cardiaco benefico per cuori malandati, “colesterolizzati” da troppa fuffa sonora (basta guardare le classifiche, per quanto queste abbiano ancora senso).
Quante volte abbiamo pensato: - hey, ma che fine ha fatto quella band? e i suoi membri, dove cacchio sono? -. Ebbene, Virzì risponde a queste domande, facendo chiaramente leva su proprie esperienze personali.
Il suo/nostro alter ego è il giornalista-fan accanito interpretato da Corrado Fortuna, costretto sulla sedia a rotelle da un incidente accaduto molti anni prima proprio dopo un concerto dei Pluto, band del quale egli conosce ogni dettaglio biografico, aneddoto. Con tutte le sue forze e risorse economiche (è così ricco che lavora gratis) organizza la reunion dei misconosciuti Pluto, per lui “i più grandi di tutti”.
Non sarà esattamente come se li aspetta: il cantante è una specie di vagabondo ignorante e parassita mai cresciuto; la bassista s’è sistemata con uno stoccafisso oppressivo (Francesco Villa - il Franz della coppia comica Ale & Franz) sotto la cui patina perbene ella cela le sue nevrosi e voglie represse; il batterista conduce un‘esistenza “normale“, ma - per sua stessa ammissione - è uno lento a capire, irriso quasi dallo stesso figlio che ne sottolinea le molteplici incapacità; il chitarrista vive col padre, lavora in fabbrica (un po’ come Pino Scotto …) e odia gli altri del gruppo. Uno, l’unico vero talento dei Pluto, che ha perso il grande treno (l’audizione come chitarrista per Vasco Rossi) ed è perennemente arrabbiato col mondo.
Ci metterà poco, il giornalista, a rendersi conto della realtà (che avrebbe, però, almeno dovuto sospettare sin da subito) e a definirli “dei poveri coglioni”. Che, oltretutto, mostrano un’alchimia d’insieme praticamente inesistente, coi ricordi delle avventure trascorse affogati dagli eccessi (alcool, donne, droghe) e dalla lontananza (tra di loro e nel tempo).
Ma il processo è in corso, il concerto della tanto agognata (solo da lui …) reunion s’ha da fare. E pazienza se occorre un ingegnoso stratagemma a dare una possibilità a questi disgraziati.
Nel tratteggiare tutti i protagonisti, nell’ambientazione, nelle situazioni grottesche viene fuori tutta la cognizione e consapevolezza di Virzì, anche nell’infierire qualche stoccata ai falsissimi prodotti da talent e non solo (ad un certo punto a Fortuna viene chiesto di occuparsi di storie rock dedicando un servizio ai Lunapop!).
Per dare corpo alla storia di questa famigerata band vengono inseriti finti filmati di repertorio (non particolarmente curati, a dire il vero) e finanche un vero brevissimo brano di parecchi fa tratto dalla trasmissione televisiva Roxy Bar in cui Red Ronnie dialogava con un Marco Cocci già dal caratterino mica male (nella realtà, vi era ospite con i Malfunk).
I punti dolenti sono da rintracciare intanto nella sceneggiatura, non sempre precisa nel descrivere, fino in fondo, i personaggi e le loro relazioni; mostrando incertezza nel creare un sostegno coinvolgente alla storia. Manca qualcosa, insomma, nell’approfondimento dei protagonisti, riguardante soprattutto il loro passato (così come le scelte, le motivazioni) che avrebbe permesso di plasmare un racconto coeso e fluido, immediatamente trascinante.
Il ritmo è altalenante, con passaggi a vuoto, di stanca, e alcuni momenti avrebbero meritato ben altro supporto in sede di scrittura, specie nei risvolti leggeri - laddove, cioè, si cerca di gettare una luce più faceta nella caratterizzazione di questi “tragici” soggetti.
Il registro scelto è quello tipico della commedia brillante alimentata da necessari frammenti malinconici e grotteschi, e in fin dei conti regge. Azzeccate inoltre si rivelano le più che conosciute locations livornesi che contribuiscono alla tenuta del film. Fortunatamente, comunque, i rischi caricatura e narrazione floscia, vacua, da fiction divulgativa/educativa come di tante innocue e irritanti pellicole leggere odierne, sono scongiurati.
L'obiettivo è raggiunto, alla storia ci s’appassiona e le interpretazioni degli attori sono credibili. Da segnalare, nei ruoli rispettivamente della madre apprensiva e dell’assistente solerte del giornalista, Catherine Spaak e Frankie HI-NRG MC. Sulla prima niente da dire (ancora fascinosa, infatti il bellimbusto personaggio di Cocci ci prova); sul secondo - sempre simpatico - beh … meglio continui a rappare.
Sui titoli di coda ci sono i divertiti interventi di Piero Pelù e Ghigo Renzulli, Irene Grandi, Baustelle, Vasco Rossi, pronti tutti alla “causa” e a dire la loro sui Pluto (tra l’altro è proprio Vasco a ricordarli come “i più grandi di tutti“).
Film da vedere. E, naturalmente, da ascoltare.
Per anime “comuni”, anche misere e disgraziate, ma nelle cui vene pulsa forte - e continuerà a farlo- del buon, sano, maledetto, fottuto rock’n’roll.

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