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Questa storia qua

Regia di Alessandro Paris, Sibylle Righetti vedi scheda film

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La recensione su Questa storia qua

di giorgiobarbarotta
8 stelle

Un lunedì sera e la voglia di sprofondare comodamente in una poltrona di cinematografo. Una curiosità impellente: la voglia di vivere l'insolito collegamento in diretta dal red carpet del Lido di Venezia come introduzione ad un documentario diretto da giovani autori. Una personale scommessa: tornare a soffermare la mia attenzione su uno dei personaggi più controversi della cultura popolare italiana. Questo il senso della scelta di voler assistere alla proiezione di Questa storia qua (geniale titolo con tanto di tronca finale come da miglior tradizione testuale di Vasco Rossi). Trovarsi mano a mano coinvolti nel tessuto sociale di una comunità, Zocca, paesino di un Appennino resistente (per dirla alla Rumiz), piccolo spaccato di un'Italia che sembra non esistere più se non nell'anima di certe canzoni o storie popolari. Da lì, e solo da lì, accedere all'universo del Blasco nazionale, finalmente scoprendolo (meglio dire "sentendolo" in quanto voce fuori campo, sommessa e intimamente riflessiva) vivo, vicino, carne e ossa, uomo cresciuto attingendo al proprio ambiente e ad esso continuamente rapportandosi, in un continoscambio di energie quasi amore/odio, fuga/ritorno (Los Angeles e la possibilità di essere nessuno seduto su una panchina in riva all'oceano è una confessione che non può lasciare indifferenti), caro a tutti i poeti provenienti dalla più autentica provincia. La mano registica sensibile e quasi ingenua, densa di un'umanità sorprendente e schietta, ci riporta l'uomo e non il mito stampato sulle fascette legate attorno a fronti sudate osannanti. Fa tenerezza l'anziana madre che cita Albachiara come "la canzone della mela, della Giovanna", riferendosi alla ragazzina vicina di casa cui si ispirò Vasco per la celeberrima canzone. La madre e la zia, in un salotto fondamentalmente nostro, nel significato di appartenente alle madri o nonne di ciascuno di noi. L'ape e il fiore nella strofa dei primi sussulti amorosi sono una scelta poetica e accessibilmente universale, quindi riuscita, rispettosa del cantautore e del suo pubblico. Le testimonianze degli amici, uomini a volte qualsiasi, della porta accanto, allontanano dal grande stadio e dagli hit qua e là sfacciatamente (soprattutto nell'ultima parte di carriera) commerciale e riportano alle scelte di gioventù. I concorsi canzonettari del bimbo Rossi catapultato nella grande città Modena che pare ai suoi/ns occhi Nuova York, le radio libere, le battaglie e i processi per scrollarsi di dosso il perbenismo e la cattolica cappa di un'Italia all'epoca della zampa d'elefante e delle minigonne. Tutti passaggi fondamentali. Le donne, l'emancipazione e l'amatissimo universo femminile, nodo cruciale e fonte d'ispirazione continua, ma anche di guai e successi personali. Il rock, urlato e rabbioso per impedire che le voci dei soliti inutili cafoni sovrastassero le ballate più (e meravigliosamente) delicate. Le droghe e il loro scotto da pagare: la galera e la morte dell'amico caro, rivale per qualche anno nel consueto scontro degli ego solleticati da fama e successo. L'inserto-testimonianza del compagno di gioventù ora psicologo esperto e dunque la denuncia delle dipendenze. I cinque giorni di carcere e isolamento spezzati dalla lettura di un libricino di fantascenza lanciato da un amano compassionevole. I collaboratori fidati, rispettosi, pieni di stima e fiducia e di preoccupazione per un equilibrio spesso troppo fragile. Infine quell'indimenticabile sguardo, pregno di fatica, responsabilità, paura e rassegnazione, su quello stesso palcoscenico che tanto ha regalato ma tanto ha preteso, di fronte al quale ancora una volta si cerca di raccogliere le restanti energie prima di entrare in scena, solo. Per buttarsi ancora una volta in pasto ad un fagocitante pubblico, amico, figlio, confidente, solidale ma carnefice quasi fossimo nel finale di The Wrestler. Tanto di cappello.            

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