Regia di Hirokazu Koreeda vedi scheda film
Koichi (Koki Maeda) e Ryunosuke (Ôshirô Maeda) sono due fratelli che vivono lontani a causa della separazione dei genitori. Il dodicenne Koichi vive a Kagoshima insieme alla madre (Nene Ôtsuka) e ai nonni (Kirin Kiki e Isao Hashizume). Il piccolo Ryu, invece, vive a Fukuoka insieme al padre musicista (Joe Odagiri). Sono troppo lontani per potersi vedere e telefonarsi ogni giorno non basta. Entrambi desiderano che i genitori si rimettano insieme in modo da poter essere di nuovo una famiglia. Non resta che affidarsi alla forza evocativa della fantasia, e credere nei miracoli. Insieme ad altri amici Koichi viene a conoscenza di un fenomeno soprannaturale chiamato Shinkansen. Si narra che nel momento esatto in cui due treni in transito passano l’uno di fianco all’altro per la prima volta è possibile esaudire i propri più intimi desideri. Così, approfittando dell’inaugurazione di una nuova linea ferroviaria, ai due fratelli non resta che mettersi in viaggio e trovarsi al punto esatto in cui due treni ad alta velocità incontrano le loro vie dai rispettivi binari. Con loro vanno anche dei loro amici : chi vuole far ritornare in vita il suo cane, chi vuole correre più veloce, chi vuole migliorare nel disegno, chi desidera diventare un attrice. Intanto il vulcano Sakurajima popola sempre di più i pensieri di Koichi, fino a diventare un elemento di muta consapevolezza nel suo percorso di crescita.
“I wish” è un film che affronta il tema scottante della disgregazione della famiglia con sognante gioiosità, facendo del desiderio dei due fratellini di ritornare tutti insieme la leva che disintegra lontananze e tiene viva la fantasia. “I wish” (che significa “spero che”) è l’ottavo film di Hirokazu Koreeda, che qui come altrove dimostra un’attitudine particolare a fare della famiglia il centro propulsore della sua poetica. Altro aspetto caratterizzante e la delicatezza del tocco usata dall’autore giapponese, il garbo non comune che emerge dalla narrazione di fatti e situazioni dai risvolti certamente drammatici. In “I wish” i temi ricorrenti del cinema di Koreeda ci sono quasi tutti : il senso di abbandono, la disgregazione della famiglia, il forte richiamo filiale, la speranza in un futuro migliore, il sopraggiungere in tenera età di importanti domande esistenziali, l’analisi in filigrana (derivante dal maestro Ozu) della società giapponese. Tutti temi affrontati con piglio leggero ma mai superficiale, con la volontà di riflettere sullo stato delle cose ma senza enfatizzarne i presupposti narrativi.
Come "Nobody knows", “I wish” è un film girato ad altezza bambino, ma mentre il primo affonda i bisturi dentro l’amara esistenza di un gruppo di bambini costretti dalla superficialità dei genitori a dover crescere in fretta, questo è costruito su misura della bella ingenuità dei due fratelli, in linea con le loro più candide fantasie. Perché Koichi e Ryunosuke incarnano l’idea che i miracoli esistono, basta credere che si possano realizzare e che, nel realizzarsi, conservino la concretezza delle cose desiderate. Non vivono male la loro condizione di bambini separati, finendo ognuno per ricalcare in scala il carattere del genitore con cui si sta : più sconclusionato e perso nella sua passione per le piante il piccolo Ryu, più curioso e deciso sul da farsi il dodicenne Koichi. Ma desiderano entrambi tornare a vivere insieme, essere una famiglia e fare tutte le cose che normalmente si fanno in famiglia. Perché “anche la famiglia si dimentica se non la vedi mai”, dice Ryu, parole che alimentano un desiderio con una semplicità disarmante. Un desiderio che si trasforma in una specie di miracolo (il “Kiseki” del titolo originale) che vale la pena di rincorrere. Così intraprendono un viaggio iniziatico fino al punto esatto in cui i più intimi desiderio possono trasformarsi in miracoli che si avverano. Fino allo Shinkansen (che letteralmente significa treno ad alta velocità), dove è lecito credere che l’incontro di due prodigi della tecnologia possa aprire un varco al compimento dell’eterna meraviglia.
Il film può infatti essere suddiviso in due riconoscibili momenti narrativi. Ad una prima parte molto descrittiva, dove la conoscenza dei desideri dei ragazzi non può avvenire se non attraverso una propedeutica delineazione di tutti i caratteri che compongono il quadro umano di riferimento, segue una seconda dove la volontà che alberga nei due fratelli di credere nei miracoli fa la sua conoscenza con la complessità del mondo reale. Detto altrimenti, ad una visione esclusivamente sognante segue un’aderenza alla realtà che comincia ad alimentare il senso di consapevolezza ancora vergine dei fratelli. In questo quadro di iniziale e formativa conoscenza del mondo, un ruolo centrale è assunto dal valore simbolico che Koreeda attribuisce al vulcano Sakurajima, che svetta sulla baia della città di Kagoshima con la sua “minacciosa” colonna di fumo. La presenza invasiva del vulcano lavora in parallelo con il taglio epifanico conferito alla narrazione : a ricordare la presenza latente di una crisi laddove emerge solo il desiderio innocente di ritornare ad essere una famiglia felice ; a insinuare l’essenza del pericolo che si accompagna alle cose della vita in vite ancora intente a declinare il pericolo in immagini giocose (si pensi soprattutto ai pensieri di Koichi, che vorrebbe far eruttare il vulcano così “la famiglia ritornerà a vivere tutta insieme ad Osaka”). Infatti, nel bellissimo finale i due fratelli dimostrano di voler rispettare il volere dei genitori piuttosto che concedersi anima e corpo alla forza evocativa dei desideri, di guardare oltre le loro piccole esistenze piuttosto che rispondere presente solo ai loro innocui impulsi egoistici. “Ho preferito il bene del mondo ai miei genitori”, dice molto emblematicamente Koichi, che si riferisce alla paura reale che mette il “vulcano vero”, e anche alle parole del nonno, che spesso gli ricorda che le sofferenze, i problemi, le difficoltà da affrontare, fanno semplicemente parte della “vita vissuta”. Ecco, il miracolo diventa questa lenta e indolore presa di coscienza : l’accettazione pacifica della natura contraddittoria del mondo comincia a farsi strada senza che il senso di meraviglia insito in loro si trasformi nei primi vagiti del disincanto. Una bella lezione fatta con un garbo davvero encomiabile, arrivata al culmine di una storia di bambini che cominciano ad affrontare temi adulti.
Nota a margine che, credo, valga la pena mettere in evidenza. La città di Kagoshima è gemellata con Napoli dal 1960. La presenza invasiva di un vulcano che svetta sulla baia circostante, il senso di minaccia che gli appartiene per definizione aldilà del suo lavorio tellurico, hanno molto a che vedere con un’assonanza che, evidentemente, è prima spirituale che fisica.
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