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Extraterrestre

Regia di Nacho Vigalondo vedi scheda film

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La recensione su Extraterrestre

di OGM
8 stelle

A distanza di quattro anni dal suo esordio con Los Cronocrímenes, Nacho Vigalondo torna alla regia, per proporre un nuovo episodio della sua fantascienza casalinga: un’altra vicenda incentrata sui soliti personaggi della porta accanto, e questa volta intrecciata non con i viaggi nel tempo, bensì, più banalmente, con un’invasione aliena. Gli extraterrestri giungono sulla Terra a bordo di un enorme disco volante (copiato da Independence Day) e si infiltrano tra la popolazione assumendo sembianze umane, come nella leggendaria serie tv dei Visitors. Gli eventi, però, rimangono sostanzialmente invisibili, assurti al rango di ipotesi machiavelliche che forniscono la materia a complotti di natura genuinamente umana, come quelli che oppongono, nel consueto triangolo amoroso,  un amante occasionale, un vicino innamorato ed un fidanzato geloso. Come nel precedente film, fantasia e suspense si esplicano interamente sul piano mentale. La storia, che pure risulta confinata all’interno di un appartamento e nei suoi immediati dintorni, procede a suon di idee, che si innestano astutamente sulle occasioni e dribblano abilmente gli imprevisti. Low budget è la meccanica sobrietà del pensiero, che crea il racconto e sapientemente lo complica senza aver bisogno di nient’altro; ed a basso costo è anche la capacità di far vivere le situazioni in un’ambientazione spoglia e deserta da The Day After, in cui la gente è davvero scomparsa dalle città ed i beni di prima necessità sono venuti a mancare, ma si possono comunque esternare le proprie emozioni arrangiandosi con quel poco che resta a disposizione: un generatore elettrico, una partita di palline da tennis, un barattolo di pesche sciroppate. Questa forma di minimalismo domestico e claustrofobico – già brillantemente messa in pratica dall’autore nel cortometraggio sperimentale Código 7 e nello spot di pubblicità progresso Cambiar el mundo - è la strettoia narrativa che costringe ad aguzzare l’ingegno, spremendo fino all’ultima goccia di immaginazione. È il principio di un cinema superstite, che sopravvive alla perdita della ricchezza visiva rimediando una nuova di spettacolarità puramente cerebrale, il cui dinamismo vive della complessa interazione tra congetture e progetti, deduzioni ed incertezze. L’apparenza è la barriera onnipresente che impedisce alla ragione di andare a fondo, facendola galleggiare sulla carezzevole superficie dell’illusione. Tutti gli interpreti di questo psicodramma   potrebbero non essere  ciò che sembrano – normali individui in preda a consueti dilemmi  - ed essere effettivamente invasori di un altro mondo, giunti per impossessarsi dei segreti e delle risorse dell’umanità. Il loro carattere convenzionale è infatti venato di un pizzico di surreale follia, quel tanto che basta ad inserire, nel loro agire, una buona dose di ambiguità. I protagonisti maschili, in particolare, sono i classici poveri diavoli che si riscattano dall’anonimato con l’arte dell’invenzione: la loro bizzarria si esprime attraverso disegni ingegneristici, strani marchingegni, piani criminali, che sono le vie, tanto arcane quanto disperate, attraverso le quali, in condizioni estreme, si cerca di inseguire la salvezza. Dal paradosso si ricava la forza per andare avanti, e non importa se ciò non condurrà comunque ad una soluzione: l’essenziale, per fare tornare i conti, è che, alla fine, il cerchio si chiuda, che il discorso si avvolga su se stesso, facendo combaciare capo e coda, come vogliono la coerenza logica e la ciclica continuità della vita universale. Extraterrestre è una curiosa e beffarda messa in scena della disperazione di non sapere ciò che accade e non capire chi si abbia davanti: una metafora della difficoltà di stare al mondo, in una realtà in cui la verità  spesso è aggressiva – come un oggetto contundente lanciato attraverso la finestra -  ma lo è, infinitamente di più, lo spiazzante senso del nulla.

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