Regia di Alain Resnais vedi scheda film
In effetti questo non l’avevamo ancora visto, ma il titolo provocante ha alzato un pò troppo il tiro rispetto a ciò che il buon Resnais ci mostra stavolta. Ricercando un’invenzione linguistica gradualmente sempre più onirica e trasfigurata, il figlio/pioniere della nouvelle vague sembra apparentemente sorprenderci ad ogni cambio di scene e di inquadratura, lasciando tuttavia insoddisfatto il desiderio di vedere qualcosa di considerevolmente inaspettato, di veramente nuovo. È altresì vero che nelle brevissime pause che intercorrono tra un atto e l’altro della piece, in cui decise carrellate di congedo si allontanano dallo schermo su cui è proiettata la registrazione dell’Orfeo e Euridice, si prova un senso di amarezza e si sente la necessità di accomodarsi sulla sedia, rilassare i muscoli e di tornare a respirare l’aria della sala (che sembra borbottare come durante un effettivo intervallo). Ci si accorge allora che mentre stavamo aspettando un climax mai arrivato, eravamo già in buona misura rapiti da quel magico mondo. Un mondo che poteva essere ancora più magico e che non regge il confronto con le stravaganze de Gli amori folli.
La non-storia è questa (di nuovo non condivido la sinossi ufficiale): Resnais ha chiamato, ad interpretare se stessi, una dozzina di grandi nomi del panorama cinematografico (e non) francese (tra cui spiccano Piccoli, Almaric, Bazhin…). Innescandogli un (forse falso) trascorso come interpreti della versione di un famoso drammaturgo dell’Orfeo e Euridice, li raccoglie sotto lo stesso tetto-mausoleo per mostrargli le riprese della stessa piece realizzate da una compagnia emergente (gli estratti che si vedono durante il film sono stati girati da un altro regista) e chiede a loro di giudicarla. Invece di farlo, il gruppo di attori inizia ad interagire con esse, ricordandosi battute, gesti, emozioni. Ed ecco la trovata geniale che ha permesso a Resnais più della metà delle invenzioni registiche presenti nel film: il numero degli più attori è superiore a quello dei personaggi, così che risultino esserci due Euridice, due Orfei, ma un solo padre di orfeo, un solo becchino… Gli attori attraversano le magiche porte del mausoleo ritrovandosi in stanze enormi, spoglie, in caffè, ristoranti, camere da letto o in delle stazioni ferroviari. Spesso si danno il cambio nell’interpretare i personaggi che hanno in comune, e quando non voglio farlo ci pensano i movimenti della macchina da presa.
Un’opera che sia nella sceneggiatura che nella forma pretende di essere poetica, e in parte vi riesce. Ma, di nuovo, dopo un titolo così impegnativo, il film risulta essere un delicato, raffinato e pregiato brodino consumato dopo una saporita bistecca.
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