Regia di Vincent Paronnaud, Marjane Satrapi vedi scheda film
Ci si può ammalare per l’amore di un qualcosa a cui si è legati e che non si possiede ormai più. Non importa se si tratta di persone o meno. Lo sa bene Nasser Ali, un violinista sognatore, a cui è stato distrutto lo strumento con cui riusciva a comunicare quello che, con le parole, non poteva esprimere, il suo violino. Infatti, per tutta la vita, Nasser ha suonato il suo amore negato, fino a quando la donna che non amava gli ha distrutto il suo prezioso Stradivari.
Siamo nella Tehran del 1958 e non è solo Nasser ad avvertire la difficoltà a sostituire il proprio strumento musicale, si tratta di un paese che cerca consolazione nella morte, allo stesso modo di come il violinista ha deciso di non mangiare né bere più, decidendo di morire in 8 giorni. Durante questo lasso di tempo, Nasser ripercorre gli episodi più importanti della sua vita, (ri)vivendola come una favola a occhi aperti.
La bravissima regista iraniana, del bel film d’animazione Persepolis del 2007 (candidato all’Oscar e vincitore del "Premio della Giuria" al Festival di Cannes), Marjane Satrapi, insieme a Vincent Paronnaud, porta sul grande schermo la trasposizione di una famosa graphic novel di Satrapi, dal titolo che peggio non si poteva tradurre in italiano, ma dalla storia intensa ed emozionante. Come già in Persepolis i protagonisti sono quelli che vivono isolati, allontanati dalle passioni, che li rendono vivi, che combattono la loro battaglia quotidiana contro un destino avverso, e come dei don Chisciotte gareggiano fra verità e fantasia, realtà e sogno.
Difficile caratterizzare questo interessante film della coppia Paronnaud/Satrapi, melodrammatico, che non fa a meno della parodia, attinge dalle sitcom, ma anche dai film fantasy, una favola, candidato all’Oscar e vincitore del "Premio della Giuria" al Festival di Cannes con citazioni, sparse qui e lì, di Méliès. Il film riesce a rendere molto bene la carica espressiva e visiva del fumetto. La regia, costruita con digressioni, flashback e flashforward, cerca di ricostruire lentamente, come un puzzle, la scelta del protagonista che invoca la morte giorno dopo giorno.
Il film si avvale di un cast eccellente: domina su tutti lo straordinario Mathieu Amalri, uno dei più apprezzati attori e registi francesi, vincitore di tre Premi César. Insieme a lui, anch’essa, finalmente con una buona interpretazione, che non vedevamo da tempo, Isabella Rossellini, nei panni di Parvine; pare che l’attrice italiana abbia accettato la parte senza nemmeno leggere la sceneggiatura, a dimostrazione del livello di stima nei confronti della regista.
Pollo alle prugne dà i brividi, perché la storia è densissima d’amore e malinconia, in un’atmosfera che ricorda molto la stessa che avvolge le storie oniriche e surreali di Kaurismaki. Di questi possiede lo stesso nichilismo, tant’è che la mancanza di un lieto fine caratterizza anche questa seconda prova, dietro la macchina da presa, della Satrapi. Tant’è che la dolce amarezza, che caratterizza i suoi film, altro non è che la reale persistenza di quanto riesce a sopravvivere nell’attuale Iran. Perciò anche questo film, altro non è se non un canto d’amore per una patria, mater/matrigna, perduta. Il brutto titolo, anch’esso, sta a significazione di una perdita della capacità di provare gusto e sentimenti, visto che “La vita è un soffio, la vita è un sospiro. E’ questo sospiro che devi cogliere”. Assaporando l’amarezza e l’inettitudine della vita.
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